Il pesce di Godel | Sudate Carte Racconti I edizione

Gennaio 30, 2003 in Sudate Carte da Redazione

Il Cittadino Drogo è nel suo letto e suda copiosamente. Non riesce proprio a prender sonno, il giacere accaldato e stanco nel proprio sudiciume lo rende oltremodo agitato, la gola s’aggroviglia, la ragione s’annebbia, e l’untuosa sensazione dif-fonde inesorabile per il corpo intero, sul viso, goccioloni che velo-ci dalle meningi tracciano rivoli sino a penzolare dal mento od impiastricciare il collo, sulla schiena, giù dalla nuca lungo la fles-suosa linea della colonna vertebrale, per accumularsi ed imputridi-re i lombi, sulle mani, per le quali ogni cosa diventa inafferrabile, su inguine ed ascelle, gli irsuti luoghi in cui il sudore marcisce e da cui esala il suo pungente odore.
Il Cittadino Drogo non sopporta più l’afa schiacciante che at-tanaglia la Città ormai da mesi.

maledette lenzuola che m’avviluppano senza requie, si serrano vo-raci ad ogni movimento, mi uccidono togliendomi l’aria, sudario per questo mio unto corpo, il solo sentirle addosso è già fonte di frustrazione e ribrezzo, tutto mi rimane appiccicato come fossi carta moschicida, ed io fremo, contratta la base del cranio il mio tremito corre giù per la schiena tutta, orrore, il sudore, il mio sudo-re, io, inerme artefice e folle preda – che ore sono? le tre! via il cu-scino, via il sudario, nudo nella mia disperazione, togliermi l’unico piacere, l’unica necessità intrinsecamente umana rimastaci, e non ancora presa, manipolata, corrotta, mercificata, togliermi co-sì il mio sonno, è questo che sta succedendo, lo fanno apposta, so-no tutte palle che cambia il clima, che fuori dalla Città avanza il deserto, riescono a controllare ogni cosa, non possono scacciare questo insano caldo? – così quando nessuno più dormirà, intriso del pestilenziale efflusso del proprio corpo, ecco stimolatore o pil-lola adeguati, non ci sarà più bisogno di dormire, la tecnica ci le-verà la necessità fisiologica, quella psichica ce la saremo già leva-ta da soli, odiando l’atto stesso di giacere nei nostri umori, conta-minati dai medesimi germi spurgati dal corpo, tutti Cittadini per-fetti, non avremo più scelta – questa calura è stranamente inebrian-te, i pensieri sono altri dal comune, la visione più ampia, la logica abbandonata, forse sto impazzendo, è il sudore che mi manda in pappa il cervello, o magari ne ha solo lubrificato i pigri ingranag-gi, supinamente abituati dalla snervante monotonia delle nostre vi-te ad adempiere solamente le strette necessità di sopravvivenza, ed ora slittano, s’inceppano e si spanano! ci vuole acqua, lavarmi dal-la contaminazione, nell’acqua cercherò di arrivare ad un altro tor-rido mattino, di strappare dalla mia mente pensieri, fantasmi, vi-sioni che essa nel buio genera, traghettarla ad una nuova alba, quando finalmente ciò che vediamo con gli occhi abbaglia ineso-rabilmente quel che privo di controllo balena nel nostro intelletto, ecco l’acqua latrice di vita, ed io mi battezzo, affinché mi riporti alla vita, affinché possa giungere presto un domani

Il Cittadino Drogo è operatore al crogiolo di fusione dell’acciaieria della Città. E’ attualmente un cittadino di classe D, ma con buona probabilità sarà presto declassato ad E, quest’anno non si sta affatto comportando in maniera consona, finora i suoi consumi sono ben al di sotto della media della classe e, pur riclas-sificandoli nuovamente tenendo in conto il vivere in solitudine ed il generale trend negativo causato dalla persistente afa, si manten-gono ugualmente bassi, indice evidente di scarsa attitudine al con-sumo o, peggio ancora, di cattiva volontà.
Il Cittadino Drogo vive nei pressi del Fiume, quartiere 77, lo-cazione non molto favorevole a dire il vero, data la frequenza con cui vi si abbattono le onde di piena che vengono dalle Montagne; ma egli sostiene che l’aria del Fiume gli faccia bene, sia migliore, che il pigro scorrere dell’acqua ed il sommesso rumoreggiare not-turno di insetti ed animali lo allietino, che l’umidità malsana del mattino lo rinfreschi, che abbia sì un odore sgradevole, ma vero.

già questo maledetto caldo sembra non aver mai fine, proprio a me deve toccare la movimentazione del crogiolo! a me! questo corpo non ha più desiderio né volontà, la vita trasuda via da me e sulla pelle lascia sale, e se la vita trasuda e va via, ciò che lascia è la morte, tutto questo sale mi intaccherà un giorno, inizierò a decom-pormi prima ancora di crepare! da quant’è ormai che dura quest’afa, questa continua spossatezza? sono viscido come una lumaca! io sono l’uomo lumaca! tutti mi schifano, il sudore mi rende unto e maleodorante, la fonderia mi infarina di fuliggine, prima o poi qualcuno mi acchiapperà e mi getterà dritto in pentola, vivo, è così che si cucinano le lumache, rimangono più morbide – per quanto mi sforzi non riesco davvero a ricordare un momento in cui non fossi sudato, persino quando son nato ero bagnato, e soffocavo! il calore è insopportabile qui, oltre la parete, nel paiolo ribolle puro fuoco liquido, stregoneria dell’uomo proclamatosi moderno giacché conscio della propria fausta possanza, fuoco che diventa duro e freddo, fuoco per i nostri cannoni, fuoco per domi-nare il creato tutto! ah! il bagliore del fuso mi ferisce gli occhi, non vedo, non vedo più nulla – buio – il calore mi avviluppa, rende le membra madide e spossate, la mente sopraffatta dal malessere, incoerente e pazza – perché sono qui? lavoro per guadagnarmi di che vivere? ma in quale maniera? io sudo, retribuiscono col dena-ro la mia consunzione, come lavorassi all’inferno, e proprio con lo sterco del padrone di casa mi pagano, sterco del demonio che tutti vogliono, bramano, ossessivamente convertono in beni e prodotti, sudore proprio in cambio di sudore altrui! via! voglio uscirne! via!

Il Cittadino Drogo è uscito di fretta dalla imponente fabbrica di ferro e fuoco, e nella pienezza del mezzogiorno cammina, im-merso nella luce e nella calura, avanza in un’aria che pare densa come acqua, in lontananza persino la strada è bagnata, suda anche l’asfalto, ed i caseggiati della periferia.
Il Cittadino Drogo non riesce più a stare in piedi, poiché l’aria che respira è acqua, né più né meno che acqua calda.
Il Cittadino Drogo sta annegando, sdraiato in terra.
Il Cittadino Drogo è stato colto dal ragionare autonomo del proprio cervello, ha veduto con ciò che chiama l’occhio della mente, solo per qualche attimo, data la momentanea cecità dei suoi occhi naturali, e sono accorsi strani pensieri, strani perché non u-suali nelle teste d’altri Cittadini, strani ma ben legittimi, seppur tristemente impotenti, come sono i pensieri peggiori, giusti, veri-tieri ma inutili, anzi dannosi per il soggetto pensante, che possiede o crede di possedere una sorta di verità, di cui però non può far nulla, una presa di coscienza che come unico effetto lo estrania dai suoi simili, che tale verità non hanno e neppure vogliono sentire.
Il Cittadino Drogo d’altro canto non è certo nuovo a tali inuti-li elucubrazioni. E’ sempre stato un soggetto alquanto problemati-co, incerto ed instabile, mai soddisfatto dalla propria condizione; e non si tratta di quella corretta mancanza d’appagamento che pro-duce una continua volontà d’acquisizione, di possesso, sano sen-timento d’ogni buon Cittadino, ma un’insoddisfazione più arcaica, mancanza di un punto fermo su cui costruire tutto il resto, di senso e significato del reale, indubbiamente un soggetto potenzialmente autodistruttivo e difficilmente relazionabile con i normali Cittadi-ni.
Il Cittadino Drogo malauguratamente non comprende come sia l’uomo stesso artefice della propria ricchezza, della propria lussuria, e di come si possa vivere ostinatamente felici senza porsi insolubili questioni, lasciando che la Fabbrica dei Sogni plasmi ed instilli in ognuno desideri e necessità sempre nuovi, luccicanti ed impellenti, il cui appagamento è la sorte meravigliosa e progressi-va della società del consumo. Il sistema delle classi di consumo fu sviluppato a tal fine, garantire ad ogni potenziale
consumatore la possibilità di acquistare sempre più, valorizzare gli individui non sulla base d’obsolete distinzioni di reddito od estrazione sociale, ma sull’attitudine che essi mostrano a compiere ogni sorta di sacri-ficio pur di avere, godere, ostentare sempre più: il principio è semplice, lo si può facilmente trovare su tanti muri, girando per la Città, “più consumi, più guadagni”, e tutti possono farlo proprio. Finalmente una società libera, una società in cui chiunque volen-dolo può rendersi felice.

ohibò, ma son dunque ancora vivo? eppure acqua calda mi sembra ancor di respirare! che io sia mutato in pesce? blub! sì, son proprio pesce, guardate come nuoto, come muovo con grazia e leggiadria! blub! sento ancora caldo però, fuoco, fiamme e stridore di denti, e sudore… ma quale sorta di stolto! chi ha mai veduto un pesce a-sciutto? non ce ne sono! io non devo più sudare, neppure posso! gaudio e tripudio, alfine libero da tale miserrima condizione, mi sento leggero e semplice, lontani da me i crucci dell’uomo giacchè lontano da me è il suo sudore, il vostro sudore, inflittovi nella not-te della storia dal dio degli ebrei, duale ed ambiguo, biforcuto co-me la lingua del serpente, punizione e nel contempo espiazione, frutto simbolico e simulacro tangibile, materiale fatica del vivere e spirituale anelito di conoscenza, e supremo monito, badate che sie-te sì liberi di osservare, meditare, comprendere, innalzarvi tramite il sapere, tramite il sudore, ma la vostra comprensione del mondo è inficiata proprio dalla fatica che richiede, dal sudore che per ot-tenerla dovete versare, finiti e limitati quali siete, orribilmente condannati ad intuire l’universale ma a comprendere appieno so-lamente il particolare, non avete e mai potrete avere assolutezza nel relativismo di percezioni e conoscenze in cui siete immersi, neppure nella vostra luminosa ragione, così condizionata e distorta da luoghi, esperienze, emozioni, semplicemente dalla vita del sog-getto pensante, la logica stessa, pensiero puro, distillato della men-te di dio, ha i cardini in un insieme di assiomi che non è completo, e di cui è già stata dimostrata l’impossibilità di completamento, non siete liberi, non potrete mai esserlo, ed il sudore è lì, scorre su di voi, catarsi e maledizione! blub! ma cosa vi parlo a fare, brutti casermoni di cemento, tendete impotenti al cielo, alla teoria ulti-ma, alla comprensione assoluta, così miseramente impegolati nelle vostre umane faccende da non far saggio uso nemmeno di quel che avete creato o capito, ibridi malriusciti tra bestia e spirito pu-ro, dilaniati nel mezzo dal continuo scontro, spesso impotenti od ignavi dinanzi ad esso, io l’uomo l’ho abbandonato, e con esso il male e la pazzia, e già vedo laggiù il mio amato fiume, nel suo mutevole abbraccio mi getterò, un pesce non ha certo siffatti pro-blemi

di Luca Del Grosso