Il dolore inutile

Aprile 16, 2003 in Medley da Redazione

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L’occasione data dalla conferenza Il dolore inutile che si è tenuta a Dogliani il 20 marzo scorso è stata quella di fare il punto della situazione a due anni di distanza dalla riforma della legge sulla somministrazione degli antidolorifici oppiacei.

Nove pazienti su dieci accusano dolore che viene riferito al limite della sopportazione. Un dato improponibile sapendo che, se venissero applicate le normative dell’OMS in merito al trattamento del dolore severo, questo potrebbe essere controllato nel 90% dei casi con metodologie non invasive.

Innanzitutto quali sono le novità introdotte?

Lo snellimento della burocrazia dato dal nuovo ricettario, che non deve più essere compilato in triplice copia, perché si sono accorti che esiste la carta carbone!

Si possono prescrivere due farmaci, la ricetta vale 30 giorni invece di 8; sono diminuite le sanzioni per irregolarità nella compilazione della ricetta (es. scrivere 8 invece di otto).

Quale impatto ha avuto la legge?

Basso. Le prescrizioni sono aumentate del 20-30%, mantenendo ancora l’Italia ultima in Europa nella prescrizione di oppio ai malati terminali.

Se il consumo di morfina per abitante è considerato un indice della qualità delle terapie erogate (perché il dolore accompagna ogni malattia), allora rimane da chiedersi quali siano ancora gli ostacoli all’utilizzo di queste terapie.

Ne possiamo individuare cinque:

  • costo e disponibilità dei farmaci;

  • scarsa competenza nella valutazione del dolore;

  • paure dei pazienti (di disturbare, di diventare tossicodipendenti, di non concentrarsi sulla malattia e di conseguenza di non concentrarsi sulla guarigione, che la malattia proceda);

  • nell’iter formativo universitario non esiste un corso su questa tematica;

  • gli operatori sanitari.

    Tra questi cinque gli operatori sanitari rappresentano l’ostacolo più grande, vediamone le ragioni.

    Colui che cura il dolore deve «stare dietro» al paziente e deve mantenere uno spazio comunicativo. La terapia del dolore richiede al medico di essere presente e di avere competenze relazionali, di condividere un’esperienza e di fare in modo che il paziente si affidi a lui.

    Difficile. Difficile perché la popolazione è aumentata e i posti letto in ospedale sono diminuiti, ne consegue una minore disponibilità di tempo da dedicare ai pazienti, che solitamente rimangono ricoverati finché dura la fase acuta, mentre il dolore severo si caratterizza per la sua cronicità. A questo proposito sono i medici di base, con la supervisione degli algologi, i professionisti più adatti a somministrare queste terapie, anche ai pazienti terminali.

    Il dolore cronico non si può guarire e questo pone il medico di fronte ai proprio limiti. Da un lato sembra che la vita possa allungarsi a non finire e che sia sempre maggiore il numero di malattie curabili, dall’altro scoprire che così non è fa provare un certo sconcerto e un certo rifiuto per ciò che si discosta dalla guaribilità e che ricorda che onnipotenti non si è.

    di Luigina Pugno