Giovane… Gergo sum

Maggio 16, 2004 in 006 da Redazione

Avete mai avuto a che fare con un babascione? Vinto una partita di calcio grazie ad un gollonzo? Frequentato un cabinotto? Insomma, avete l’abitudine di parlare utilizzando quei termini un po’ insoliti (ma decisamente trendy) che vengono annoverati tra le parole del cosiddetto gergo giovanile?

Se la risposta è affermativa allora fate cisti leggendo questo articolo, perché vi riguarda; in caso contrario, prestate comunque attenzione: il mondo del lessico dei giovani è molto divertente e interessante! L’abbiamo esplorato, almeno in parte, durante il convegno, intitolato “Giovane…Gergo…Sum”, tenutosi il 7 maggio alla Fiera del Libro.

Ci hanno aiutato ad immergerci nell’intricata rete di significati, derivazioni e contaminazioni sociali che stanno alla base di questo fenomeno tre disponibilissimi esperti (che ci stavano proprio dentro…): Renzo Ambrogio e Giovanni Casalegno, autori di un Dizionario storico dei gerghi e dei linguaggi giovanili, che nei prossimi mesi sarà pubblicato dalla Utet, e Carla Marello, docente di Didattica della Lingua dell’Università degli Studi di Torino.

Insieme a loro abbiamo cercato di approfondire alcune tematiche, iniziando dalla questione dell’origine dialettale. Come forse avrete notato, infatti, moltissimi dei termini gergali derivano dai nostri dialetti. A questo proposito gli autori del dizionario, che si sono impegnati in una attentissima ricerca, non potevano che intervenire, senza tralasciare, tra l’altro, qualche esempio “un po’ spinto” (abbiamo visto qualcuno arrossire, nel pubblico!). La presenza di termini dialettali tra le parole del lessico giovanile, come ci ha spiegato la docente, è dovuta al loro suono più colorito e divertente, che li rende caratteristici e adatti a trasmettere in maniera schietta e immediata il messaggio desiderato.

Il linguaggio gergale può rivelarsi , in certi casi, un fattore di discriminazione sociale (pensiamo anche solo alla ben nota contrapposizione tra truzzi e cabinotti), ma a quanto pare questa leggenda metropolitana è da sfatare. Poteva considerarsi valida in passato, ma adesso si verifica raramente. Da un sondaggio effettuato tra gli studenti del liceo scientifico Galileo Ferraris e quelli dell’istituto tecnico Sommellier (ciascuno dei quali identificato con una delle suddette “caste”) risulta evidente quanto le cosiddette “categorie” di giovani dipendano ormai quasi completamente da un discorso legato alla moda, all’abbigliamento e al tipo di locali frequentati, quindi anche un’eventuale differenziazione del gergo non si può più considerare come una discriminante di tipo sociale, ma solo come una diversa tendenza.

Non ci si poteva dimenticare dei mezzi di comunicazione e della loro influenza sul nostro modo di parlare. In particolare la televisione (ma ultimamente anche internet), condiziona notevolmente il nostro linguaggio. Casalegno, che insegna anche in una scuola superiore, ha evidenziato, basandosi sull’osservazione dei suoi alunni, la velocità con cui questi modi di dire vengono assunti si associa alla velocità con cui vengono dimenticati. Spesso un “tormentone” viene tenuto a mente fino alla puntata successiva di un certo show, pronto ad essere presto sostituito da un altro. E’ indiscusso il primato delle trasmissioni comiche o di intrattenimento e il fatto che più che un termine, a restare impressi siano solitamente modi di dire (“la seconda che hai detto“, “le so tutte“), più facilmente adattabili ai nostri discorsi.

Il convegno si è concluso con una riflessione molto interessante: fino a che età si parla utilizzando questo gergo? E’ davvero una prerogativa solo giovanile? La risposta sembra essere negativa; sono infatti molti gli adulti che hanno un atteggiamento da giovani, anche nel linguaggio. E’ un modo di porsi che recentemente si è molto diffuso, come si sta diffondendo la tendenza a mantenere in età adulta abitudini e comportamenti tipici dei ragazzi invertendo talvolta i ruoli tradizionali.

Insomma, non c’è un’età in cui si è costretti a smettere di parlare come i giovani, forse perché non c’è un’età in cui si è costretti a smettere di esserlo!

di agente Marco Lombardo