Genio e sregolatezza
Aprile 13, 2005 in il Traspiratore da Cinzia Modena
Gesti gessi giostranti giocolieri generosamente … giocati giraffe
giostre ginestre genuflesse grondanti glaciali galassie
genomi generanti glabra gioventù giacente gemente
giacigli granai gastriti gestanti genuina gelosia
gestualità giacimenti giada generose gaussiane gocce…
Sregolatezza spudorata spacciata sospinta sardonica spaccona
Sognanti sguatteri semoventi silurano sollazzi seriosi sollevanti sipari serali
Serate sette settembrine settecentesche sartriane svitate sfogate sussurate
Sicurezza subita sospinta silente sfacciata sputata solare scorticata silurante
Spazio sospeso sereno stabilizzante strabiliante sobillante sudore stremo svitamento sviamento…
G come passione e tormento, S come liberta’ ed indipendenza
Colette
Cos’è quest’area di sosta saccente e spirante vento di immacolata narrazione senza senso, forse un sole di non-senso solo apparente? Non ne ho idea ma il pensiero corre a persone che hanno lasciato un segno, ma ancor di più ad aneddoti carpiti confusamente, in modo disordinato e casuale, impattati per caso come le foto in un album di famiglia dimenticato. No date o riferimenti là dove la memoria non sembra rimembrare. Come questa foto, immagine di una donna, anzi, l’unica donna che abbia mai ricevuto l’onore del funerale di Stato nella storia della Repubblica Francese (all’epoca era il lontano 1954). …ma secondo voi… lei, ne sarà stata veramente felice? shhh, non pensiamoci, non chiediamocelo, non soffermiamoci su ciò che non ha nulla da sussurrare alle nostre orecchie…
“Scrivere, è un impulso dettato dal bisogno letterario di ritmare, di redigere il mio pensiero (…) di farlo danzare perché di vero non c’è che la danza, la luce, la libertà e la musica”, questo disse questa donna che aveva un bisogno membruto di scrivere ed il suo nome, signore e signori, è Colette. Spietata perversa seducente e soprattutto libera, Colette parla di sé definendosi una donna che si dà in pasto al pubblico: sapeva quanto lo scandalo gli piacesse e lo cercasse. Le sue opere parlano di lei e della sua vita dei suoi amori dei suoi pensieri anche intimi. Perché -si chiedeva- non parlare in prima persona di fatti che sicuramente la stampa prima o poi avrebbe scoperto? Ad esempio i suoi amori saffici come l’amante Missy con cui recitò al Mulin Rouge, le sue relazioni con adolescenti o uomini comunque più giovani di lei ed altre vicende scandalose, ma lei era una donna che amava sedurre! “La gioia perversa di viziare un amante adolescente non devasta abbastanza una donna anzi, il DARE diventa una specie di nevrosi, una ferocia una frenesia egoistica” queste son le parole di questa donna dei piaceri fisici, dei sensi, termine che ritiene essere un eufemismo per descrivere qualcosa di inesorabile, “un fascio di forze che si annida dentro una scogliera sorda ed incomprensibile, il corpo umano”. Colette ha scritto molto ed ha vissuto tantissimo ed intensamente: la morte? Non la temeva ma ancor di più non le interessava neanche il solo pensiero! Amava vivere a pieno e circondarsi d’amici soprattutto più giovani di lei “per istinto amo conquistare e mettere in serbo ciò che promette di durare più a lungo di me”. Tanta passione e tante opere: Gide la considerava un genio per la capacità di intessere la trama e di usare toni con arte sottile e matura: “Non c’è colpo che non vada a segno e non rimanga nella memoria e tutto è tracciato come seguendo il caso, come giocando”. Sartre, persino quest’uomo tanto brutto quanto seduttore e mente complessamente filosofica l’apprezzava, e lo conquistava la capacità di lei d’ascoltarlo…
I fratelli De Chirico
Forti passioni forti colori forti immagini trascendenti concrete fredde. Cavalli e piazze e manichini senza volto. Fasci di luci fatte di correnti elettriche. I Dioscuri. De Chirico e Savinio. Gli sguardi delle fotografie di questi due personaggi parlano di due fratelli che si rincorreranno nelle tele e negli scritti tra metafisica e surrealismo mangiato come pane e vino, cercato come l’aria. Si facevano chiamare Dioscuri, dal mito di Castore e Polluce. De Chirico-Castore il dominatore di cavalli, Savinio-Polluce il lottatore. E come nel mito, per tutta la vita i due fratelli si allontanarono e ricongiunsero tra opere e realtà, congiunti da un filo fortissimo saldissimo pur invisibile. In Hermaphrodito Savinio scriverà “durante il sonno io vivo in modo più precipitoso del reale” e protagonisti saranno personaggi di pietra, uomini senza volto, ambientazioni di stanze vuote e piazze deserte dove troneggia una torre. De Chirico è una foto statica, perfezionista, imbevuta di ricordi miti ed enigmi. E’ la metafisica. Metafisiche dinamiche enigmatiche mitologiche pitture e cariche di forza nei colori nelle statiche scene. Scene ripetute e diverse in piccoli dettagli, come le piazze d’Italia (ispirate a Torino). Esigente con sé perfezionista al massimo grado. Il fratello Savinio è un pittore di confine. In un suo scritto dice: “Non ho il privilegio di viaggiare in Express (…). Il mio treno che trasporta me ed i miei destini è un treno modesto e borghese. E’ una tenia lunghissima di carrozzoni vecchi e neri (…) ma fiera del suo fumaiolo altissimo (…). Il mio treno non ha meta fissa.” Rispetto al fratello, Savinio muove le sue tele con omini colorati pupazzi quasi pop art, tinte forti e sfocate e sussurrate, crea scene, di battaglie e non, dinamiche con uomini dal corpo forte muscoloso possente. Riflessione e azione. In un suo scritto Savinio dirà: “L’arte è sorta sul fecondo grembo della memoria. E’ per questo che nell’arte (…) spira come una nostalgia della grazia che in principio fioriva quaggiù: dell’immortalità terrestre”. Trent’anni dopo, a cinquantaquattro anni, dirà “Finora io navigavo in mari difficili e navigavo con fatica, con ansia. E’ questo il prezzo della giovinezza. Poi (…) ho doppiato capi perigliosi, ed ora avanzo in un mare molto più vasto sì, ma più tranquillo insieme e più sicuro… Allora voltandoci a guardare il nostro passato con occhio più giusto… ci accorgiamo (…) che abbiamo lasciato un’opera. Che importa morire? Ormai noi abbiamo in bocca il sapore dell’immortalità”.
Man Ray
Inventare ricreare rielaborare seguendo una febbre intestina ed il godimento. Man Ray. Falso nome per un uomo libero e passionale. Pittore fotografo scultore scrittore, surrealista e dadaista, innovatore. Man Ray è la ricerca dell’impossibile ed assurdo e poetico ed erotico sentire. Ironiche sculture, tecniche nuove frutto del caso, anticipatore. Man Ray liberava l’oggetto dalla sua forma e gli donava nuova vita. Shock visivi. Ritrarre l’invisibile su tela. Liberare e liberarsi dai condizionamenti del tempo dell’epoca della cultura per conoscersi e creare un’immagine concreta del proprio pensiero, emozione, intimo sentire. La sua è una riflessione autobiografica una mostra del suo mondo più privato.
Man Ray è l’uomo che fotografa ciò che non può dipingere e dipinge ciò che non può esser fotografato. E’ l’uomo delle non regole e della loro trasgressione totale nell’arte. Un rebus si para di fronte allo spettatore, sprofondato in un qualcosa che si è svincolato dalla sua radice madre e come un fiore si lascia guardare e studiare. Di fronte ad un’opera d’arte l’uomo deve esser LIBERO di dare proprie interpretazioni personali, totalmente soggettive, slegate dall’idea iniziale autore: “Inutile spremersi le meningi per trovare una soluzione,
dobbiamo vivere come se non ci fossero problemi”. Artista di origini ebree e ideologicamente anarchico, detestava limitare la propria libertà riconoscendosi parte di un movimento anche se culturale.
Man Ray era un uomo libero ed indipendente. Ha voluto liberare l’arte dai classici criteri estetici quali l’abilità tecnica, il contenuto o la bellezza. Lui credeva solo nell’idea creativa. Si prende beffe di chi reputa sacra un’opera. Lui le distrugge le ricompone le ripropone con lo stesso titolo, con titolo diverso. Cos’è l’unicità e l’irripetibilità dell’opera d’arte? Per lui che raccoglieva oggetti per strada, nelle sue mani acquisivano nuova identità e se poi un uomo delle pulizie raccoglie un pezzo di plastica rotto e lo butta, ignaro che facesse parte di un’esposizione, Man Ray replica l’oggetto. Tempi moderni, industrializzazione, secolo della tecnologia. Con quest’uomo le opere sono strumenti. Strumenti di indagine e quindi di conoscenza. L’immagine concreta è un veicolo che ci porta a smascherare la nostra parte intima, i nostri sogni, la nostra curiosità. Ci prende per mano e ci porta verso un mondo fatto di libertà. I colori della vita sono liberati attraverso humour ironia e gioco. Libertà e piacere, questo era il suo motto. I giochi dell’amore e della voluttà. La sua è stata una vita non facile eppur ci propone l’amore per la vita e per questo mondo, l’immagine di un’avventura degli occhi e dei sensi in un continuo suo rinnovarsi.
Scoprirà e gioirà dell’uso dell’aerografo: “Era elettrizzante dipingere senza quasi sfiorare la tela: diventava un atto puramente cerebrale” e riderà delle aspre critiche “…usando per dipingere strumenti meccanici, “commerciali”, involgarivo l’arte, la svilivo e degradavo”, ma a lui non interessava. Amava la parola, la lettura ed adorava parlare di sé della sua vita del suo sentire. Nei suoi scritti giocava con le parole, si serviva dell’ambiguità, del paradosso e del non-senso. Un giorno, era il 1931, cancellò con un segno nero parola per parola tutti i versi di una poesia, originando una “contropoesia” dove tutte le parole sono occultate: fu anticipatore della poesia visiva…
“Cerco di camminare sulla corda delle realizzazioni, fra gli abissi della notorietà e dell’oblio; se non fossi un prodotto del mio tempo, non sarei mai consapevole di nient’altro che delle mie realizzazioni. Ecco perché ho il desiderio di diventare un albero da spalliera”
Andy Warhol
In questa galleria dei sensi non poteva mancare la foto di colui che meglio ha appreso la lezione di Man Ray e ne ha fatto una propria ars vivendi, colui che si è mosso tra serietà e finzione, debolezza e carisma. La svolta.
Rotture di schemi, idolatrie, banalizzazioni. Esaltare l’esaltabile vendere anche la madre se questo potesse mai servire… Esagerare per sorprendere, mascherarsi con parrucche trucchi e vestiti sgargianti o demodè. Andy Warhol. Riprodurre all’infinito stessi volti stesse tecniche colori diversi colori uguali modelli diversi. L’insicurezza in persona. L’uomo che ha fatto dell’arte un business: creare per vendere, vendere per far soldi. La marca del detersivo al posto della madonna di Leonardo, nuovi culti di un tempo effimero. Cotton Belt. Pasta, cibo per cani, detersivi, riviste, musica! Velvet Underground.
Dissacratore. “Quel che c’è di veramente grande in questo paese è che l’America ha dato il via all’abitudine per cui il consumatore più ricco compra le stesse cose del più povero. Mentre guardi alla televisione la pubblicità della Coca-Cola sai che anche il Presidente beve Coca-Cola, Liz Taylor (…) e anche tu puoi berla… Nessuna somma di denaro ti può permettere una Coca migliore di quella che si beve il barbone all’angolo della strada”.
Edonista? Si riprende e si ritrae, ritrae la sua evoluzione involuzione nel tempo. Si racconta su tela serigrafia e fotografia e su carta: “Se volete sapere tutto di Andy Warhol… Eccomi. Nulla è nascosto”
Un libro aperto al sole. Parla della morte. Crea una serie di immagini su persone morte in maniere diverse. Regina è il volto di Marylin Monroe. “Non c’era nessuna ragione per fare una serie sulla morte (…) solo una ragione di superficie”.
I grandi personaggi del secolo appena finito non hanno seguito un modello, un educatore, ammonisce “Le Figaro” alla nostra generazione, ma hanno vissuto pensando alla loro vita e costruendola, tassello dopo tassello, come se fosse un’opera d’arte.
sospiro sollevato sospeso e sudato
sospiro sospiro di vita di forte attaccamento alla vita, sospiro
guaisce e grida gioia geniale forse con forza certo cento centomila volte con tutta la forza in gola.
di C. Modena