Fenomeni made in Italy
Aprile 13, 2005 in il Traspiratore da Momy
Esaltano le folle, animano gli spiriti, attraggono come calamite, inchiodano agli schermi televisivi, alle pagine di quotidiani e di riviste di dubbia fama, fanno ridere, piangere, urlare… Per loro il motto “nel bene o nel male, l’importante è che se ne parli” è quasi uno stile di vita, un vestito che si sono cuciti addosso e dal quale, pur volendolo, non riescono più ad uscire. Essere ‘personaggio’ in questo contesto, infatti, non è sempre facile, occorre convivere, giocoforza, con la propria popolarità, cercando da un lato di sfruttarla e dall’altro di non rovinarla troppo. Nel loro habitat naturale riescono a far coesistere il genio e la sregolatezza e, per alcuni, quest’ultima si “espande” anche nella vita quotidiana, quella lontana dai campi da calcio, dai palazzetti, dalle piste da sci, dai (moto)velodromi…
Avrete compreso a chi è dedicato questo preambolo: a quegli sportivi che sono entrati nell’animo della gente per le loro gesta, e non solo per quelle semplicemente agonistiche. Tra i “pazzi” non ci si può esimere dal citare Gazza Gascogne o Cantona, Sivori o Maradona, Dennis Rodman o Tyson. Anche in Italia però abbiamo (avuto) diversi fenomeni che non sfigurano di certo in un’ideale classifica del binomio “genio & sregolatezza”.
Cominciamo, vista la stagione invernale, dal re della neve, Alberto Tomba detto la bomba. All’apice della sua carriera di sciatore, le sue imprese sportive correvano di pari passo con le sue guasconate. Quando aveva fretta in autostrada non esitava ad utilizzare il lampeggiante (che aveva in dotazione in quanto carabiniere). Quando un fotografo troppo invadente gli faceva uno sgarbo, per il povero malcapitato erano botte, oppure succedeva che come “gentile omaggio” gli fosse recapitata, con modalità poco ortodosse, una coppa di cristallo. Tanto Alberto ne ha vinte a bizzeffe, una in meno in bacheca per lui non faceva molta differenza, e poi… togliersi lo sfizio di “punire” qualcuno in mondovisione era molto più divertente! La sua classe lo ha portato ad essere l’unico atleta a vincere per dieci anni consecutivi in Coppa del Mondo. Quella coppa che, venti anni dopo Gustav Thoeni, nel 1995 Tomba riportò in Italia vincendo 11 gare. Impresa straordinaria, soprattutto considerando che l’Alberto nazionale (in questi anni il trono di Sordi ha vacillato più volte…) non gareggiava nelle discipline veloci. Anche Mondiali e Olimpiadi gli sorrisero: riuscì a centrare la doppietta sia nel 1988 a Calgary (in quell’occasione la RAI interruppe la diretta del Festival di Sanremo per trasmettere la seconda manche dello slalom speciale!) che in Sierra Nevada, nel 1996. Ora, a quaranta anni suonati, sta pensando di rimettersi gli sci ai piedi per essere presente a Torino 2006. Federazioni e regolamenti gli sono ostili, i tifosi lo incitano: riuscirà nel miracolo?
Passiamo dalla A di Alberto a quella di Antonio Cassano, il gioiello barese che agli ultimi Europei ha commosso gli italiani scoppiando a piangere dopo aver saputo che il suo gol della vittoria contro la Bulgaria non sarebbe servito a nulla… Un gesto tenero e allo stesso tempo infantile, come quelli ai quali troppo spesso Cassano si lascia andare. Nella sua breve carriera ne ha fatte di tutti i colori, tanto che i giornalisti, impegnati più a scrivere dei suoi diverbi con gli allenatori che delle sue gesta sul campo, hanno coniato il termine “cassanate”. In campo è capace di tutto: un minuto prima segna un magnifico gol, quello dopo rovina tutto prendendo a calci un avversario o la bandierina, sotto gli occhi dell’arbitro. O insulta l’allenatore, quando viene sostituito, e poi, per ripicca, salta gli allenamenti. A turno, Fascetti, Gentile, Capello, Trapattoni, Voller, Lippi e Del Neri hanno provato a farlo crescere dal punto di vista umano, ancor prima che sportivo. Il risultato? Le sue due anime non possono scindersi e, se vorremo continuare a godere delle sue prodezze balistiche, converrà abituarsi (senza mai giustificarli, però…) ai suoi “colpi di testa”.
Dai campi di calcio passiamo al mondo delle due ruote. Fausto Coppi, il campionissimo, si distingue già alla nascita per pesare solo due chili. Sarà il primo corridore nella storia a vincere nello stesso anno il Giro d’Italia e il Tour de France. L’anno è il 1949, quello che ne decreta la consacrazione a livello mondiale. Persino i francesi, così nazionalisti, ne riconoscono le gesta, e l’urlo ‘Fostò, Fostò’ riecheggia tra Alpi ed Pirenei. La sua fama, già altissima grazie alle sue memorabili imprese sportive, cresce anche a causa della figura misteriosa e affascinante della dama bianca, Giulia Occhini, con la quale Coppi ebbe una relazione che provocò enorme scandalo nell’Italia post bellica. Una vita geniale tra i pedali, sregolata nel suo svolgersi quotidiano, che si conclude nel 1960 con una morte tanto tragica quanto assurda, per malaria. Come scrisse il giornalista francese Jacques Augendre: “Questa triste morte, del tutto prematura, ingiusta, santificherà un eroe e ne farà un martire. Di un campione, ha fatto un immortale”.
Un’altra morte assurda ed inspiegabile è quella che, ormai un anno fa, si è portata via l’erede del campionissimo, il pirata Marco Pantani, il secondo italiano a realizzare la doppietta Giro-Tour. L’accoppiata gli riesce nel 1998. Il Giro lo vede protagonista nella tappa di Selva Val Gardena: con ripetuti scatti stacca Alex Zulle e conquista la maglia rosa. L’unico a resistergli è il russo Tonkov, che però non riesce a sfruttare la crono: per il pirata è un trionfo e Milano lo attende per incoronarlo Re del Giro. La stessa scena di entusiasmo si ripete a Parigi il 2 agosto, sugli Champs Elysées. Nel 1999, quando sembra che il Giro d’Italia sia una sfida personale tra lui e le montagne, le uniche a provare a resistergli, ecco la bomba: dopo la tappa di Madonna di Campiglio, un’analisi del sangue rivela un livello troppo alto di ematocrito e il pirata è costretto disperato a scendere di sella. Metaforicamente, non ci risalirà più: una serie di corse deludenti sotto tutti i punti di vista, l’allontanamento volontario dagli amici, una popolarità in declino ed una vita sregolata sono l’inizio di una fine che ha avuto la sua tragica conclusione il 14 febbraio del 2004.
Chiudiamo con quello che oggi è l’emblema dello sport made in Italy: il fenomeno Valentino Rossi. Un mostro di bravura, capace di vincere con qualunque moto ed in qualunque catogoria, dotato di un talento straordinario e di una verve e una simpatia incredibili. Un personaggio che è riuscito nell’impresa, impensabile sino a pochi anni fa, di mettere le due ruote, in termini di popolarità, al pari delle quattro. I gran premi sono uno spettacolo, soprattutto quando Vale decide di partire male per poi sorpassare gli avversari uno ad uno, con staccate mozzafiato e curve sui cordoli, fino ad arrivare impennando sul traguardo. E col primo posto ha un feeling particolare: a 18 anni vince il mondiale in classe 125, a 20 anni in 250, a 22 quello in 500. E’ il primo italiano a vincere per tre volte consecutive il titolo nella classe regina (2002, 2003, 2004), per un totale favoloso di sei mondiali. La sua fama si estende al di fuori dei confini nazionali, tanto che secondo la Stage Up, società specializzata in ricerche di mercato nel settore sportivo, Valentino Rossi è in grado di aumentare la notorietà di una marca di quattro volte in sei mesi. Cos’altro dire se non: “Che spettacolo!”… ovvero quanto scritto sulla maglietta di Vale in occasione della vittoria del mondiale 2004 in Australia?
di Momy