Destinazione paradiso | Sudate Carte Racconti I edizione
Gennaio 18, 2003 in Sudate Carte da Redazione
“ Ti procurerai il pane con il sudore della fronte ….”.
Dio
“Il Lavoro è sudore, ma il Lavoro rende liberi …..” ( ….Arbeit Macht Frei).
Anonimo tedesco
“La distinzione tra presente, passato e futuro è una pura illusione anche se ostinata”.
Albert Einstein
Stazione Centrale.
C’è caos, come tutti i venerdì. La gente non vede l’ora di tornare a casa.
Trascino faticosamente la valigia. Qualcuno mi spinge.
C’è una ressa incredibile per salire sul treno. Le porte sono ancora chiuse. Qualcuno si lamenta, grida qualcosa di incomprensibile.
Ogni anno che passa c’è sempre più gente e i vagoni stranamente diminuiscono. Se non aprono, qualcuno finirà per essere schiacciato.
Finalmente !
Salgono tutti in gran fretta.
Si spingono, mi spingono e senza fare troppa fatica mi ritrovo sul treno.
Non tento neppure di entrare nel vagone, è praticamente impossibile, sono tutti in piedi, schiacciati.
Tanto vale restare nel corridoio se non altro qui c’è un briciolo d’aria.
Fa caldo, un caldo infernale.
Il treno parte.
Non vedo l’ora che arrivi la prima fermata nella speranza che scenda un bel po’ di gente, ma la prima fermata non arriva e il tempo sembra dilatarsi.
Di fronte a me c’è un signore alto e magro, capelli grigi.
Ha gli occhi grandi, lucidi, persi nel vuoto.
Suda, suda tantissimo e con la manica delle sua camicia stropicciata tenta invano di asciugarsi.
Imbarazzato mi ha chiesto scusa.
Il suo viso, allo stesso tempo triste e dolce, mi ricorda qualcuno.
Forse l’ho già visto, forse lo conosco.
Due ragazzi, sulla mia destra, mi fissano.
Faccio finta di nulla, ma loro non distolgono lo sguardo.
Ricordo di aver visto il viso di quello più piccolo.
Continuo a pensare dove e quando ma niente, niente da fare, non mi viene in mente.
Eppure, quel naso schiacciato, quei denti sporgenti sul labbro inferiore…Se si avvicina che figura ci faccio !
Il suo sguardo e quello dell’altro mi imbarazzano.
Mi sposto lentamente, nascondendomi dietro l’uomo dai capelli grigi.
Ora sto meglio, i loro occhi cominciavano ad infastidirmi.
Fuori dal finestrino è tutto buio, non riesco a credere che il treno non abbia fatto ancora la prima fermata.
C’è un cattivo odore e manca l’aria.
Il finestrino ne lascia passare appena uno spiraglio.
Per un istante guardo i due ragazzi.
E’ incredibile, non si sono mossi, fissano il punto dove ero prima, fissano il vuoto.
Ecco, finalmente il treno rallenta.
Qualcuno dovrà pur scendere, ma nessuno sembra muoversi.
“Non scende nessuno ?” Dico d’istinto, preso dalla disperazione.
Nessuna risposta.
Il treno si ferma.
Guardo fuori. Buio, soltanto buio.
E poi, improvvisamente, buio, buio anche dentro.
Un bambino piange e spaventato chiama il suo papà. “Non è niente, piccolo…” Dice una voce di uomo, teneramente.
Poi, il silenzio.
Ma che succede ? Perché nessuno scende ? Dove siamo ?
Respiro affannosamente, cominciano a tremarmi le mani.
Essere schiacciato in un piccolo posto e per di più al buio è uno dei miei peggiori incubi.
Cerco a fatica di mantenere la calma.
Sento il respiro degli altri, affannoso, come il mio.
Per un istante mi sembra persino di percepire il battito del cuore di quelli che mi sono vicino.
Il treno riprende la sua corsa.
Fuori ancora niente, tutto scuro.
Non riesco a capire dove siamo. Non ci sono case, non ci sono lampioni.
Ma dove ci siamo fermati ? Nei campi ?
Ritorna la luce, che sollievo !
Scorgo un sorriso sul viso magro dell’uomo dai capelli grigi.
Il papà ha preso in braccio il bambino che gli si è addormentato al collo e lo accarezza sulla testa.
Ancora quella strana sensazione, quella sensazione di già visto, già conosciuto. Forse perché quel papà dalle ciglia folte e dallo sguardo severo, in una qualche maniera, ricorda il mio o forse perché quello stesso bambino dai grandi e tristi occhi verdi ricorda me stesso…
Osservo i visi stanchi e gli occhi persi di tutti senza riuscire a togliermi dalla testa la folle idea di averli già visti tutti, tutti quanti, chissà dove, chissà quando. Forse gli altri venerdì, alla stessa ora, sullo stesso treno. Deve essere così, non c’è altra spiegazione.
Il treno procede, sempre alla stessa andatura, senza fermate.
Sono le 21 e 40 !
Assurdo.
Non possono essere passate due ore dalla partenza.
“Qualcuno mi può dire l’ora, per favore ?”.
Nessuna risposta.
Quelli che mi sono vicini dormono, dormono in piedi.
Sudati, sfiniti, senza cadere, si sostengono l’uno con l’altro.
Provo tenerezza per il papà e il bambino.
Il papà si è addormentato appoggiando la sua testa a quella del bambino.
Non riesco a capire come mai nessuno si lamenta. Non ci sono proteste. Nessuno a cui siano saltati i nervi per questa situazione a dir poco assurda.
Sono tutti rassegnati, stanchi, svuotati, come se qualcuno avesse loro prosciugato l’anima.
La prossima fermata scenderò e chiederò spiegazioni.
Voglio capire che cosa sta succedendo a questo maledetto treno…
Ma il treno procede, sempre alla stessa andatura, senza fermate.
Comincio ad essere stanco.
Un formicolio fastidioso e doloroso percorre le mie gambe.
Non so che cosa darei per sedermi anche solo un attimo, ma è impossibile, non c’è lo spazio.
E’ incredibile !
Fino ad ora non mi ero accorto che tutti quelli che mi sono intorno sono solo di sesso maschile. Anche nel vagone.
Non una donna, non una ragazza, non una bambina…
Ho paura, la mia ansia si sta trasformando in paura.
Non capisco e ho paura.
O forse ho paura perché sto cominciando a capire…
Guardo, guardo tutti i loro visi.
Il treno frena bruscamente e poi procede lento.
Il bambino apre gli occhi e si stringe al papà.
“Siamo arrivati, piccolo…” gli dice l’uomo, dolcemente.
Arrivati dove ?
Dal finestrino scorgo delle luci e questo mi fa respirare anche se il cuore non riesco più a controllarlo.
C’è gente laggiù, agitano delle torce, credo indichino la strada al capotreno.
Ci stiamo avvicinando a una grande costruzione.
Non riesco a capire che stazione è.
Una luce fortissima, dall’alto, punta proprio sul treno. Mi abbaglia, non riesco più a vedere niente.
Possibile che qui nessuno si preoccupi di quello che succede ?
Quegli sguardi spenti e immobili…
Stiamo entrando nella stazione.
C’è un cancello enorme, in cima una scritta.
Devo capire che stazione è. Se non fosse per quella luce abbagliante…
A…Ar…
Niente, non riesco a leggere !
Il cancello si apre, il treno procede.
E’ un attimo, siamo fuori dal cono di luce, leggo…
Arbeit Macht Frei.
Il cuore non batte più. Si è spento.
Si spengono i miei occhi come tutti quelli che ho di fronte.
Ora so dove avevo visto quei visi senza speranza, ora lo so.
E il mio è uno di questi…
di Roberto Dossi