Covo d’artista

Febbraio 12, 2003 in Medley da Sonia Gallesio

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Conosco Corrado Porchietti soltanto qualche sabato fa. Al termine del piacevolissimo incontro avvenuto nel suo studio in via della Rocca (situato proprio accanto a quello di Francesco Casorati!), corro subito a casa per trasferire su carta il turbinio di sensazioni ed incanti scaturito dall’esperienza appena vissuta. Ubicato in una delle più affascinanti aree del centro storico di Torino, il locale nel quale Porchietti lavora rappresenta il rifugio dell’artista per eccellenza. Ed è ancora più suggestivo di come lo avevo immaginato, a metà strada tra un bazar dell’anima e un mercatino delle pulci. Sfiorati dal flebile mormorio di una stufa a kerosene, al suo interno vi sono oggetti e manufatti curiosi sistemati in ogni dove, vecchie fotografie in bianco e nero che rievocano amicizie e rapporti fraterni, angoli incorniciati da ragnatele nere nere (immancabili, in luoghi come questo!). Svariate statuine e maschere, austere sentinelle del mistero, vegliano sulle opere dall’alto di mensole e scaffali. Vi si respira odore di fumo e di solvente, il profumo di lunghi anni di pensieri, desideri, intuizioni. Tra intriganti giochi di luci ed ombre, ogni singolo ‘cantuccio’ potrebbe rappresentare una location ideale per una natura morta ermetica o simbolista. Soltanto quando guardo una ad una le fotografie scattate da Maria Grazia Alemanno (allegate a ciascuno di questi articoli), tuttavia, realizzo pienamente che molte delle sezioni dello studio, grazie a certune combinazioni di suppellettili ed effetti personali, costituiscono anch’esse delle opere d’arte.

Tutto di Corrado Porchietti è spontaneo e genuino: i racconti, l’inflessione della voce, la luce che ne rischiara gli occhi. Scherzosamente, egli dichiara che persino la polvere e le ragnatele sono autentiche, assai lontane dal costituire un mero effetto scenografico in onore della nostra visita! Corrado si rivela un uomo onesto, riflessivo, umile e narciso al contempo. Affatto scontroso, a dispetto di chi ha tentato di affibbiargli la nomea di burbero. E’ visceralmente avverso alla specie degli artisti-prezzemolino, in verità, ma affabile, ironico, piacevole. Forse un po’ solitario e poco incline alle visite di cortesia, questo sì, proprio come lo ha raccontato il grande maestro Pino Mantovani nel 1994, definendolo pittore di stanza nel presentare la sua mostra all’Unione Culturale Franco Antonicelli. Caratterizzazione che rimanda al suo bisogno di quiete, alla necessità di rifugiarsi nel suo ambiente protetto, lontano dal caos cittadino, ma anche da mondanità e ricevimenti. Da sempre affascinato dai romanzi di Emilio Salgari – autore al quale, per certi versi, è affine – Corrado non ama viaggiare per il mondo. Eppure lo analizza e lo osserva attraverso le sue finestrelle private, prima fra tutte la televisione. Su un piano, accanto ad un’opera in fase di realizzazione (oggi ultimata, mi fa sapere l’artista!), c’è una moltitudine di barattoli, colori e pennelli. In un disordine che è fervore, pulsione, potenziale: energia libera, appena prima di prendere forma. Corrado Porchietti ama il rapporto con la propria manualità, con la tela, con i suoi strumenti. Ispirato da Otto Dix e da tutta la produzione espressionista in Germania, è legato al linguaggio artistico tradizionale, in netta contrapposizione con le ultime tendenze, videoarte in testa.

33577Tra le mura avvolgenti dello studio, il pittore racconta di come, non troppi anni fa, il Primo Liceo fosse considerato una scuola per dannati (essendo rivolto all’insegnamento delle discipline artistiche!), e altresì accenna alla sua formazione presso l’Accademia Albertina. Le sue mostre personali, poi, conformemente a quel lato del suo carattere che non lo rende molto abile a promuovere se stesso, si rivelano poche ma buone. Tra le collaborazioni più significative, da ricordare le esposizioni da Weber a Milano, nel 1980 con la presentazione di Francesco Poli e quattro anni dopo con quella di Francesco Lodola, e la mostra allestita nel 1993 da Peola, curata da Luca Beatrice. Ad un tratto, il nostro interesse si rivolge inevitabilmente all’infinità di opere presenti, e così Corrado ci descrive le sue tele in acrilico risalenti agli anni ’80. Raffiguranti interni molto elaborati, abitati da oggetti e personaggi dai colori sgargianti, al tempo questi lavori anticiparono di parecchio la cosiddetta arte mediale. Realizzati su tele quadrate, i pezzi più recenti sono invece contraddistinti da tonalità più scure. Grazie alla particolare tecnica impiegata, secondo la quale il supporto viene trattato con il carbone e successivamente dipinto ad olio, oggi Porchietti esegue opere più cupe e fuligginose. Tra i colori maggiormente utilizzati ritroviamo il nero, il grigio, le varie nuance del viola. Generalmente, l’artista non raffigura paesaggi naturali ed urbani, bensì interni e persone. L’universo femminile viene celebrato spesso, anche per mezzo di affascinanti nudi: due lesbiche, la vicina di casa tedesca e svariate donne dal caschetto rosso rame, sono soltanto alcune delle protagoniste immortalate. Gli elementi che ricorrono nella sua arte, inoltre, sono piuttosto numerosi: lampadari tondi, palloncini, scope dalla forma bizzarra, tegamini con uova all’occhio di bue. Oggetti della quotidianità che si rivestono di un forte valore simbolico, tessere di un mosaico ampio quanto la vita.

Chez Porchietti

Due ore nell’antro di Porchietti

di Sonia Gallesio