Aria con variazioni

Maggio 16, 2006 in il Traspiratore da Stefano Mola

Tra me e te, c’è solo lei. Non pensare alla soluzione più dolorosa e banale. Quel lei è femminile solo per vocabolario, non per sesso. Non ha nulla di umano, l’aria. Umana è soltanto la nostra aspirazione alla sua lievità. Adesso, tra me e te, qui davanti c’è solo aria. Dunque nulla che possa fisicamente impedire al mio braccio di sollevarsi e alla mia mano di arrivare fino alla tua guancia e sfiorarla. Invece resto fermo, ti guardo, lascio queste parole dentro la mia testa soltanto. Affidarle all’aria, metterla in vibrazione con la mia voce, romperebbe questo silenzio ambiguo, imprimerebbe una direzione, annullerebbe questa presunta instabilità in cui tutto appare possibile. Ma la leggerezza dell’aria è ingannevole. Se non la agitiamo con i nostri poveri suoni, si accumula su di noi come polvere, che è in lei insieme alle molecole invece necessarie. Del resto non è mai assolutamente pura: lo sembra per invisibilità.

Così siamo in bilico tra tutte le parole che vorremmo ascoltare, che immaginiamo decisive, cui ci aggrappiamo assurdamente, nell’illusione che possano trasportarci nell’aria come quegli aerei là fuori, soli e ciechi nella pianura enorme dell’aeroporto, e le bende di questo silenzio che ci mummifica poco a poco. Forse siamo l’uno per l’altra al tempo stesso pubblico e solista, e questi corridoi una sala da concerto.

Non importa quanta musica ci sia intorno. Quando un virtuoso sta in piedi sul palcoscenico, immobile nell’attesa di un cenno dal direttore, gli sguardi di tutti si addensano su di lui come attraverso una lente. Tutti chiedono mentalmente, trattenendo il respiro, di essere stupiti, travolti, emozionati, di ricevere conferme. E attorno a lui l’aria deve essere diversa, più densa, con una pressione maggiore. O forse è soltanto a me che sembra così, forse questa pressione è solo immaginata, perché se fosse così paralizzante chi riuscirebbe a sollevare il braccio con l’archetto per aggiungere il suo suono agli altri che già riempiono l’aria?

La verità è che adesso non ho melodie da regalare all’aria immobile tra te e me, niente che possa stupirti, farti pensare che il tuo biglietto aereo sia inutile e dunque desistere dal salire a migliaia di metri di quota, sostenuta dall’aria sotto le ali di uno di questi aerei. Vorrei invece soltanto comprimere questa aria, quella tra me e te, aderire ai tuoi vestiti, com’era assolutamente naturale fino a poco tempo fa, quando il calore tra noi due ci sollevava leggeri, come nel cesto d’una mongolfiera. E ci sembrava di guardare tutti dall’alto, con sopra le teste un pallone coloratissimo, pieno di parole e risate e cene e calici di vino. Anche sogni, forse. Invece adesso ti volti. L’aria è riempita di una voce metallizzata. Vengono pronunciati cifre e numeri e orari che corrispondono a quelli del tuo biglietto. Mentre ti allontani, forse porti via con te anche un po’ d’aria.

Respirare sembra più faticoso.

Il Traspiratore – Numero 57

di S. Mola