Al Teatro Regio di Torino L’Orfeo, favola in musica

Marzo 13, 2018 in Attualità, Net Journal, Primo Piano, Spettacoli da Marcella Trapani

Solo chi già alta levò la lira/ anche tra ombre/ può nel presentimento trarre/ lode infinita./ Solo chi ha gustato coi morti/ il loro papavero/ anche il suono più lieve/ mai riperderà.
R. M. Rilke, I sonetti ad Orfeo, IX

Sarà in scena al Teatro Regio di Torino a partire da martedì 13 marzo L’Orfeo di Claudio Monteverdi per la regia di Alessio Pizzech e la direzione del maestro Antonio Florio. Si tratta di una favola in musica in un prologo e cinque atti su libretto di Alessandro Striggio, presentata nell’ambito del Progetto Opera Barocca, fortemente voluto dal direttore artistico del teatro, Gaston Fournier-Facio.
L’importanza storica, oltre che artistica de L’Orfeo risiede nella circostanza che essa precorre l’opera lirica quale la conosciamo oggi, un genere musicale in cui i personaggi “parleranno musicalmente”, secondo le parole dello stesso autore. L’opera fu allestita per la prima volta alla corte dei Gonzaga a Mantova il 24 febbraio del 1607; pare che sia stata riproposta, dato il notevole successo ottenuto, nel 1610 a Torino e nel 1614 a Innsbruck per approdare poi al Louvre a Parigi nel 1647. L’Orfeo racconta del mito di Orfeo ed Euridice e del tentativo compiuto da lui per riportare in vita la sua amata; in realtà la storia è un mezzo di cui Monteverdi si serve per esaltare l’immenso potere della musica, capace di commuovere i cuori, utilizzando tutti i modi musicali allora in voga (quali toccate, sinfonie, balletti, duetti).
Nella sua partitura il compositore elenca circa 41 strumenti da impiegare nell’esecuzione. Lo spartito include (oltre a monodie a una, due o tre voci con basso non cifrato, cori a cinque voci con basso non cifrato) pezzi per cinque, sette o otto parti, nelle quali gli strumenti da utilizzare sono a volte citati (ad esempio: «Questo ritornello fu suonato di dentro da un clavicembalo, duoi chitarroni e duoi violini piccoli alla francese»).
Tuttavia, nonostante le indicazioni sulla partitura, ai musicisti dell’epoca era concessa una notevole libertà di improvvisare; pertanto ogni rappresentazione de L’Orfeo è differente dalle altre, oltre che unica e irripetibile.

Le fonti principali impiegate da Striggio per la scrittura del libretto furono il decimo e l’undicesimo libro dalle Metamorfosi di Ovidio, e il quarto libro dalle Georgiche di Virgilio. Questi documenti gli fornirono il materiale di partenza, ma non suggerivano già la forma di un dramma completo. Sforzandosi di creare una struttura drammatica efficace, Striggio attinse da altre fonti: il lavoro di Agnolo Poliziano, Fabula di Orfeo, del 1480, il Pastor fido di Giovan Battista Guarini e il libretto di Ottavio Rinuccini per l’Euridice di Peri. Nel suo lavoro Rinuccini fu obbligato ad inserire un lieto fine (il melodramma era stato pensato per le festività legate alle nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia). Striggio, invece, che non scriveva per una cerimonia di corte ufficiale, poté attenersi di più alla conclusione originale del mito, in cui Orfeo è ucciso e smembrato dalle Menadi (dette anche Baccanti) iraconde. Scelse infatti di scrivere una versione un po’ mitigata di questo finale cruento (dove le Menadi minacciano di distruggere Orfeo, ma il suo vero destino, alla fine, non viene mostrato).

Rispettoso delle regole tragiche, L’Orfeo è diviso in cinque atti e osserva le unità di tempo e di azione. Ogni atto si conclude con un coro, con funzione d’intermezzo, preceduto e seguito da interventi strumentali; ciò permette l’entrata e l’uscita dei personaggi e consente di realizzare i mutamenti di scena. Momenti corali intervengono numerosi anche nel corso dell’azione: Monteverdi vi sfoggia quella ricca scrittura della quale s’era già mostrato maestro nelle sue composizioni madrigalistiche. Le parti poetiche strutturate in versi strofici – che corrispondono a situazioni ‘musicali’ come canti, danze, cori, preghiere – vengono messe in rilievo con brani anch’essi strofici e chiusi, o con pagine polifoniche. Esemplari, per mobilità dello stile e patetismo, il racconto della morte di Euridice e il lamento di Orfeo.
Nonostante l’ambientazione arcadico-pastorale, L’Orfeo di Monteverdi mostra una patina tragica, un taglio drammatico: l’azione, invece di basarsi su racconti che narrano gli eventi, presenta in tempo reale gli atti e le decisioni del protagonista. Monteverdi rivela, qui, un senso spiccato della teatralità, legata anche alla precisa individuazione psicologica del personaggio di Orfeo, al suo stile di canto vario e intenso che ne fa una figura autenticamente umana: il primo vero protagonista nella storia del teatro musicale moderno.

L’interprete di Orfeo nell’allestimento cui assisteremo è il baritono Mauro Borgioni: ha studiato canto presso la Scuola Civica di Milano e il Conservatorio di Cesena, perfezionandosi alla Fondation Royaumont di Parigi. Si esibisce come solista con un repertorio che spazia dal madrigale alla cantata, dall’oratorio all’opera e a capolavori della musica moderna e contemporanea, prendendo parte a varie produzioni tra cui, oltre a L’Orfeo di Monteverdi, Matthäus e Johannes Passion di Bach, Missae di Mozart, Requiem di Fauré, Curlew River di Benjamin Britten, Akhnaten di Philipp Glass. Ha lavorato con vari ensembles e orchestre come La Venexiana, Concerto Italiano, Coro della Radio Svizzera, Orchestra da Camera di Mantova, Orchestra Sinfonica della Rai. Ha una timbro vocale molto limpido, una dizione oltremodo chiara e una presenza scenica che ne fanno un Orfeo prefetto. Euridice è il soprano Francesca Boncompagni che si è diplomata in violino con il massimo dei voti e ha studiato canto con Alessio Tosi, Lia Serafini, Sara Mingardo e Manuela Custer. Ha collaborato con ensembles quali Collegium Vocale Gent, Les Arts Florissants, Les Musiciens du Louvre, Cappella della Pietà dei Turchini, Cappella Mediterranea, Accademia Bizantina e Modo Antiquo, con direttori quali Ottavio Dantone, Stefano Montanari, Leonardo Garcìa Alarcon, Philippe Herreweghe, Frans Brüggen e lo stesso Antonio Fiorio che dirige L’Orfeo a Torino.
Tra gli altri cantanti vanno segnalati il basso Luigi De Donato che è Caronte, il soprano Roberta Invernizzi (la Musica e Proserpina), considerata una delle maggiori interpreti di musica antica a livello internazionale, e il basso Luca Tittoto nelle vesti di Plutone. Un cast di assoluto livello che susciterà certamente l’entusiasmo del pubblico del Regio.

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