Giro di vento

Ottobre 10, 2004 in Libri da Stefano Mola

Titolo: Giro di vento
Autore: Andrea De Carlo
Casa editrice: Bompiani
Prezzo: € 16.00
Pagine: 320

Giro di ventoProblema: siano dati due donne e due uomini. Enrico, architetto, freddo, razionale; Arturo, proprietario di una catena di negozi di mobili, aperto, positivo; Luisa, editor in una casa editrice, moglie di Enrico, sensibile, attenta; Margherita, conduttrice di programmi tipo Maria de Filippi, ma molto meno solida, molto più umorale e capricciosa.

I quattro sono amici da molto tempo. Hanno deciso di comprare in comune una grande casa in Umbria, per ristrutturarla e creare così uno spazio che permetta sia una vita in comune, sia la tranquillità di un rifugio solitario. Per questo partono, un venerdì sera, guidati Alessio, agente immobiliare, homo gadgettologus (si veda il capitolo iniziale che descrive il suo arsenale hi tech casalingo), paradigma della perfetta integrazione e del servilismo assurto a tecnica untuosa.

Il viaggio è scandito dalle telefonate cellulari che i quattro fanno e ricevono. Si dia inoltre che, un certo punto, accada un imprevisto. Che i quattro perdano il campo (nel senso dei cellulari), e siano così isolati dal mondo. E che vengano a contatto con una specie di comune, dove troviamo il carismatico Lauro (una delle tipiche figure magnetiche create da De Carlo, qui assai più cupa e disincantata che in altre incarnazioni), l’affascinante e selvaggia Mirta, il silenzioso e magico indiano Arup, la ragazzina Aria che in fondo sogna la televisione.

Queste sono le ipotesi. Per il resto, e per non rovinarvi tutte le tesi del libro, la cosa migliore è come sempre leggerlo. Il ritmo costruito da De Carlo è teso, incalzante. La vicenda, che si apre il venerdì, si chiude la domenica sera. Molto interessante la tecnica scelta da De Carlo. Non un solo occhio che si analizza analizzando il mondo, ma uno slittamento continuo del punto di vista. Ogni capitolo ha come linea guida un personaggio diverso, aggiungendo mattoncini alla sua visione del mondo e alle sue relazioni con gli altri. Il risultato è un rafforzamento di una delle cose in cui De Carlo è più bravo: la descrizione dei sottili campi di forza, siano essi di attrito o di attrazione, che si creano in ogni rapporto umano. Che possono dipendere da un tono della voce, da una distanza che cambia impercettibilmente tra due corpi, da una frase non detta, da una luce.

I quattro più Alessio reagiranno in modo molto diverso a questa inaspettata situazione. Ne viene fuori un piccolo affresco di come una certa parte della nostra società affronta le sue scelte di vita, smascherandone le tensioni sotto pelle, le aspirazioni nascoste in cassetti che si spera di non dover aprire mai. Sullo sfondo uno dei temi più cari a De Carlo: la perdita del rapporto con la natura, la distruzione dell’ambiente e l’aspirazione di ritornare a un contatto diretto.

Può essere interessante a mio giudizio provare a cercare i ponti che ci sono tra questo libro e Due di due, romanzo che io ho amato moltissimo. Anche lì, nel destino biforcato dei due personaggi, nelle loro scelte irriducibili eppure paradossalmente complementari, c’è una scelta forte di ritorno alla natura, la scelta di ristrutturare una casa in campagna e di stabilirsi vivendo di sola agricoltura.

In Due di due sembrava comunque possibile un cambiamento in positivo, seppure nella necessità di mantenere un isolamento stagno dalla società. Si pensi al capitolo in cui viene affittata la televisione e i figli del protagonista, che non l’hanno mai vista, ne vengono magneticamente attratti, così come Aria in questo libro è attratta dal programma che Margherita tiene in tv. Anche la vita rurale, e soprattutto le sue fatiche, in Due di due non erano negate, ma viste con una luce più positiva. Qui i risvolti difficili di una scelta estrema quale quella di isolarsi dal mondo e vivere di sola natura mi sembrano amplificati rispetto all’opera precedente. E i rapporti personali tra i componenti della comune non sono alieni da spigoli.

Ad uscirne quasi senza speranza è però il modello di relazioni della classe che potremmo definire dominante, o anche solo benestante. I quattro amici, ognuno a suo modo, vengono messi duramente alla prova. È sufficiente scaraventarli al di là delle loro certezze per poco più di 48 ore, che molte certezze mostrano una consistenza di cartone. La dimensione portante è l’incapacità di seguire le proprie inclinazioni, le proprie passioni, nell’illusione di poterle mettere al caldo sotto coperte rassicuranti: la carriera, oppure relazioni che sono poco più di una comoda abitudine.

Consiglio una visita al sito dell’autore, dove si può trovare una interessante intervista che ha come tema proprio Giro di vento.

di Stefano Mola