Radiografia di un piatto

Maggio 14, 2003 in il Traspiratore da Simona Margarino

Ci sono storie polpettone di cui i libri non parlano mai abbastanza. E ci sono pagine saporite che dovrebbero bruciare in forno, datemi retta. Telenovele che potrebbero strappare lacrime da cipolla, e invece sembrano titoli di coda: vanno avanti per ore, con personaggi finti, ingredienti a casaccio, stuntmen reali che prendono il tuo posto di fantasma, nomi-copertina che non significano nulla, musiche mai sentite, bla bla bla. Questa è una.

Prologo formato menu

Per contorno, avevo già 12 anni. Mi avevano insegnato a stare al mondo, a mangiare fino a scoppiare, a fischiare davanti a un petto d’oca, ad arrivare alla frutta, a bermi le favole. Non potevo scolarmi alcolici, potevo portare un’arma in pancia. Avevo solo 12 anni allora, ma certe cose le sapevo. Mio padre ne aveva 27 e molte le aveva dimenticate. Bestemmiava, tirava a carte e fumava un sigaro ai semi di papavero che sapeva di polvere da sparo; un giorno cavò il tabacco di tasca e quel che lasciò dietro fu una cenere grigio scura: era la pelle nera dell’uomo che si era fumato. Cotto a puntino, arrostito sulla

brace. Pronto per il

tagliere.

1° e unica puntata-portata

Capite? Era un bastardo, quel tipo, Tom. Aveva aspettato che il suo amico pollo abbandonasse la sputacchiera vuota per pigliarsi a forza sua moglie, puf, un mozzicone in bocca preso a prestito per una tiratina svelta, da gustarsi a fondo, tra una risata e l’altra. Ferro e fuoco. Questo disse lui, mio padre, con un colpo in meno in canna. Lei, mia madre, avvolta stretta nello spago, cosa pensasse non so. Da quella notte è andata matta e l’hanno dovuta rinchiudere in un posto, un frigorifero di quelli bianchi che di fumo non ne vedono mai. Pulito come il cielo sopra un camino, senza finestre, senza fine. Magari lì sta bene, ha una stanza immacolata e la cameriera per la colazione, caffè di prima mattina, la sicurezza di non avere né rimorsi, né più idee.

Flashback-epilogo balsamico

Tom, si chiamava proprio. Il morto, voglio dire, ormai un filetto all’aceto. Faceva l’idraulico. Ti rimetteva in funzione quel cesso di casa che ti ritrovavi per un pugno di dollari; te li strappava dalle mani sporche che ancora puzzavano di carta igienica, indigestioni o chissà che altro, e te lo restituiva perfetto, tranne che nell’odore, perché l’odore ti appartiene, non se ne va nemmeno nel secchiello pieno di soldi e ghiaccio di un qualunque operaio ad ore, neppure se lo conosci, neppure se andate al pub insieme e da quando gli paghi la birra ti deve un favore che non sia lavorarsi anche la tua donna. Appena l’ho visto disteso per terra, col sangue caldo sulla faccia, che non sembrava nemmeno più un uomo ma un soufflé, sono scoppiato a piangere come un bambino. Mio padre mi ha tirato uno schiaffo da farmi volare per la stanza. Poco prima che lo portassero dentro. Dietro le griglie di un altro freezer a lunga conservazione.

Ultimo capitolo-gelato

12 anni, avevo soltanto, ed era il giorno del mio compleanno. Due settimane fa, il tempo di lievitare di botto. Ora ne ho centottanta e mi basta appena a respirare. Ancora ci penso a quella storia andata a male, all’indice, che è costata una fortuna: la fame d’odio che ha lo stomaco più gonfio di un ragazzino del terzo mondo, l’ingenua candelina spenta sulla torta di una notte sola, un sogno semi-freddo in cui fingere che tutto sia a posto. Forse bisognerebbe avvolgere le fantasie così in un grande foglio di giornale e dar fuoco a tutto: un bel falò formato Avana, da metter tra le labbra e buttare giù per il naso o la gola, fino ai polmoni neri.

Post Scriptum-acqua di rose per sciacquarsi le mani

Ma il destino mi vuole bene, questo è certo. Me ne accorgo quando ho voglia di dimenticare di avere nelle vene il ricordo di uno sformato d’uomo e allora sfrego le nocche sui fianchi e poi mi fumo un sigaro, da solo, seduto sul divano, accarezzando la pistola tra le dita. Sì. La vita mi ama. The End

Il Traspiratore – Numero 43 – 44

di S. Margarino