Mario di Dievole
Aprile 20, 2003 in Viaggi e Turismo da Claris & Momy
Ci sono giorni nei quali la voglia di evadere dalla realtà, dal cellulare che suona, dalle troppe e-mail che arrivano come falchi in picchiata sui nostri PC, dal capo che urla, dai genitori troppo apprensivi, dal tostapane elettrico che ti avvisa con un suono lancinante che le fette di pane stanno per essere catapultate nel vassoio della colazione… è veramente travolgente.
In questi momenti l’unica “salvezza” è fare un passo indietro nel tempo, tornare ad epoche nelle quali la tecnologia non ci opprimeva, lo stress era una parola sconosciuta, l’arrivo dell’oscurità decretava la fine di una giornata di lavoro…
Dievole fa rivivere tutte queste sensazioni: questo podere è come il classico “ago nel pagliaio”, difficile da trovare, immerso com’è in un’immensa distesa di colline e vigneti senesi! Un gioiello, nato quasi mille anni fa e riportato alla vita dal genio di Mario Felice Schwenn, un nome che evoca, di per sé, sensazioni particolari. Un suono, quello del suo cognome, facilmente associabile a “Swann”, cigno bello e fiero, libero di volteggiare per queste terre incredibili per bellezza e tradizione.
Mario, dovessi definire la tua professione, cosa diresti? Come ti piacerebbe essere identificato? Vignaiolo, possidente terriero, ristoratore, gestore di agriturismo, ideatore di prodotti enogastronomici, ricercatore, artista, manager…
L’autoritratto di tutto questo, “Mario di Dievole”.
Ci descrivi le tue attività e la tua giornata tipo?
Come fare? Come fare?, mi chiedo. E trovo nell’azione la verifica di me stesso.
Certo è facile parlare di vino ed avere una propria dignità nel ruolo di produttore vitivinicolo adesso che il nettare di Bacco è di gran moda, ora che i media sono più interessati all’enogastronomia che alla politica… Ma quando hai iniziato, vent’anni fa, non era così: il consumo di vino era in continua flessione, faceva più paura un ubriaco che un drogato!
Era più facile quando era più difficile. Ora è più facile per tutti.
Tu comunque hai creduto nella cultura del buon vino, del prodotto di qualità…
Ci vuole fede, devi crederci!
Da piccolo, in Germania, dove sei nato, avresti mai pensato di trasferirti in Italia e vivere in mezzo alla natura? Il tuo sogno era diventare un artista del saper vivere bene con i prodotti più antichi?
Sono un tedesco nato in Italia e cresciuto in Svizzera. Dopo aver lavorato a Londra e in Texas, 17 anni fa, a quasi ventun’anni, fui chiamato in una fattoria il cui futuro sembrava perduto, e lo inventai. Ora voglio diventare Toscano.
Il tuo vero nome è Schwenn, perché preferisci identificarti col borgo dove vivi e lavori?
Nel mio certificato di nascita c’è scritto dove e quando sono venuto al mondo, ma non vi è specificato il motivo e lo scopo.
La figura dei vecchi saggi di campagna ricorre spesso nelle fotografie dei tuoi cataloghi, nelle tue dichiarazioni. Quanto è importante la memoria storica nelle tue attività e come pensi di preservarla?
Non esiste storia, solo biografia, mi sono detto. Per questo ho riportato a Dievole le persone che ci sono nate ed i loro figli, i depositari delle azioni buone e meno buone. Per preservarla, la storia, emula del tempo, esempio e annuncio del presente, coltivo l’ignoranza, madre delle tradizioni, e l’intelligenza.
Guarda come cammina uno di Dievole: ti avvedrai che cammina come se stesse sempre sulle sue, come uomo che sa, per antica esperienza, che la cosa più aborrita al mondo è l’intelligenza. E la più insidiata.
Chi più di loro ha rispetto di se stesso? Chi più di loro sa difendere la propria dignità con furberia? Chi meglio di loro insomma sa essere fiero e dignitoso senza passare da grullo? Chi meglio di loro sa che un uomo grullo non è un uomo libero? La libertà è un fatto dell’intelligenza, ed è quella che dipende da questa, non l’intelligenza dalla libertà. La schiavitù è, sempre ai loro occhi, una forma di imbecillità, che non è soltanto un vivere sotto il bastone, ma anche un vivere in soggezione di idee sbagliate, o balorde, o di sciocche superstizioni e ipocrisie da bigotti.
Non hai timore che l’attuale boom dell’enogastronomia, degli agriturismi di lusso si sgonfi?
Questione di intelligenza degli operatori.
Quali sono le tue previsioni per il settore?
Vedo opportunità nel fatto che si sta sgonfiando la falsa economia del vino. Ci sarà maggiore competitività, più sana ed integra.
Dievole è in un posto incantevole, descrivici il tuo agriturismo…
Villa Dievole, volersi bene (www.dievole.it).
Giornali e televisioni danno parecchio spazio alle varie guide enogastronomiche ed alle loro classifiche. Parlare dei migliori vini (come dei ristoranti eccellenti) ormai equivale a discutere della top 10 musicale… Non trovi che ci siano anche troppe speculazioni?
No, solo questione di share!
Per fare presa sul consumatore finale, quanto contano le guide e le stellette?
Tanto. Sono dei pre-selezionatori.
E per ricevere citazioni ed onori dalla stampa specializzata, quanto sono importanti appoggi e sponsorizzazioni più o meno occulte?
“Ogn’uom v’è barattier…”, scrive Dante Alighieri.
Concentriamoci su Bacco, il tuo motto è “Alle formule preferisco una semplice uguaglianza: Uomo di qualità = qualità di vino”. Parlaci dei vini che produci…
Sono troppo critico dei miei vini per parlarne bene. Dievole ha ancora elementi di un patrimonio genetico che risale all’undicesimo secolo e, in parte, già i vini lo esprimono. Ma non ancora come vorrei.
Sedici maestri di vigna, sedici campi di conservazione del germoplasma aziendale delle sedici popolazioni capostipite di Dievole presto si esprimeranno completamente in un unico vino: Nativo, in nome della più grande speranza del vino, il proprio carattere.
Piemonte e Toscana sono le due regioni vitivinicole considerate, a ragion veduta, al top nazionale ed in continua e stretta competitività, in ogni stagione, per offrire prodotti in grado di esaltare i palati degli intenditori. Quali le differenze?
Sono lo Yin o le Yang del vino italiano. E questo ha già fruttato Plenum, un vino unico ed irreplicabile, coltivato nelle due regioni in un processo di mutamento e di divenire che si realizza nell’alternanza delle forze complementari e opposte del Sangiovese e della Barbera. Il prossimo Plenum lo presento a Vinitaly: lo cotivai vicino a Toledo…
Quale apporto ricevi dagli enti locali?
Un buon dialogo su come migliorare le cose e l’ambiente.
E dall’università? So che il tuo team conduce delle ricerche in stretto contatto con la facoltà di agraria di Siena… alla ricerca del Vino e dell’Olio perduti.
Dopo un lungo processo di selezione di imprenditori toscani, l’Università di Siena ha scelto Dievole per la firma di un contratto storico di joint venture, il primo del genere nella quasi millenaria storia della Università. E’ stata affidata a Dievole una grande opera di archeologia agricola nella Certosa di Pontignano: farò rinascere le antiche varietà e il vino dei monaci certosini del tredicesimo secolo e ricoltiverò le loro erbe medicinali…
Già, perché a Dievole non si parla solo il linguaggio del Chianti, ma anche
del vin santo, dell’olio d’oliva e dei ruspanti cibi toscani…
…e dell’aglio: stiamo ricoltivando l’aglietto di Vagliagli (paese alle porte della fattoria). Unico al mondo!
Per concludere, tu, Mario, che vino bevi a tavola? E nelle occasioni speciali, qual è il tuo nettare preferito in assoluto?
Bevo molto i vini degli altri… Ieri ho degustato la nostra prima Syrah 2001 dalla botte, con un piatto persiano di mia moglie Fatima. Poi abbiamo bevuto un Pinot Nero della Patagonia e poi un bicchiere di Icewine dalle Cascate del Niagara del nostro amico Donadl Ziraldo di Inniskillin, dove ci siamo conosciuti… Il vino che mi ha inebriato e che mi ispira: l’Amarone 1995 di Romano dal Forno.
di Claudio Arissone & Monica Mautino