150 km in Vespa

Ottobre 27, 2002 in il Traspiratore da Redazione

Leggere Giorgio Bettinelli “Brum Brum: 254.000 km in vespa” mi ha portato a sviluppare una forte invidia verso la sua esperienza. Invidia che ha cominciato a logorarmi…

E’ uno di quei libri che inizi e poi divori, ovvero, come preferisco dire, “ci casco dentro”. Inizio a leggerlo e poi, quando ne riemergo, le lancette dell’orologio mi indicano che è un altro giorno. “C****, devo mettermi a dormire!”

In poco tempo ho accompagnato Bettinelli attraverso la Terra del Fuoco e poi fino agli U.S.A.. Durante il viaggio siamo stati bloccati in una tempesta di sabbia, abbiamo fuso il motore, attraversato fiumi vari in Venezuela, siamo stati pestati durante il film Titanic… Purtroppo, più lo leggo più mi rendo conto che io non potrei fare lo stesso per una serie (neanche tanto lunga) di motivi insuperabili.

Il primo lo definirei di tipo sociale/genetico: sono una donna! Cosa che di per sé non è un problema, se non fosse che nel mondo ci sono anche gli uomini.

Il secondo è di ordine psicologico: e se poi mi venisse un mal di pancia? Quando ho il mal di pancia mi vengono pure le crisi esistenziali, aaahhh voglio le coccole!

Il terzo è di ordine fisico: come farebbe il mio mucchiettino d’ossa ad affrontare tali sterrati e difficoltà?

Uffi! Ora non solo sono invidiosa, ma anche scocciata. Che cosa si crede quello? Anch’io ho avuto i miei 150 km in vespa!

La data: 12 agosto 2001. Il luogo: isola di Saaremaa, Estonia. L’occasione: il mio compleanno.

Per girare l’isola non c’è altro verso che affittare una macchina, cosa che ovviamente ha un bel costo, per cui optiamo per un più economico scooter rosso della Gilera. La misura della testa di Walter naturalmente non si accorda con le misure dei caschi, come di tante altre cose, ma a forza riusciamo ad infilarglielo.

Ok, si parte! Il tempo atmosferico minaccia pioggia da un momento all’altro, il vento minaccia di alzarsi ancora prima, la strada per fortuna è buona. Mi schiaccio contro la schiena di Walter per sentire meno freddo e senza troppi problemi arriviamo a Kaali per vedere i crateri. Si sono formati dalla caduta sull’isola di “materiale spaziale”, col tempo e le piogge si sono riempiti d’acqua per poi diventare dei laghetti, che, visti così, non fanno di certo pensare ad una paternità galattica. Per fortuna esiste sempre qualcuno che davanti all’ovvio vede qualcosa di diverso. La tomba dei possessori di questi occhi diversi accoglie i visitatori all’inizio del parco ed un opuscolo spiega come e dove si sono accorti che qualcosa era intervenuto a formare quei crateri. La vena fantascientifica di Walter vede un sicuro legame con gli ufo, ma io mi sento più affascinata dal fatto che l’avvenimento è riportato in antichi canti della zona e della Finlandia.

Ripartiamo verso Angla, per vedere i mulini a vento che una volta ricoprivano l’isola, ma ci perdiamo. Troviamo una sorta di caffetteria dove la cameriera ci spiega con gesti e vaghe linee su un pezzo di carta la giusta strada; compriamo, per pochissimi kroon, delle brioches (il nostro pranzo) e raggiungiamo la meta. In uno di questi mulini v’è un piccolo commercio. Prendiamo un tè. Il ragazzo ci chiede se vogliamo dello zucchero, ma una grossa mosca imprigionata nella zuccheriera ci fa optare per il no. Cerchiamo un distributore di benzina segnalato nelle vicinanze. Il proprietario ci dice che è self service, ma le pompe della benzina sembrano dirci che non è vero. Le daterei intorno alla scoperta/invenzione del gasolio, non dopo. Gli dico quanto voglio spendere e ci provo. Non capisco assolutamente come funzioni l’indicatore, ma ad un certo punto il tipo mi indica che ne ho messa a sufficienza. Boh?!

Si riparte. Sulla ‘Lonely’ leggo che a Karja c’è una chiesa con le pareti colme di imperdibili rappresentazioni mistiche. Troviamo la chiesa, ma le rappresentazioni mistiche dove sono? C’è dello sbiaditissimo colore rosso sulle pareti, ma io non vedo rappresentazioni mistiche, non vedo proprio niente! Anche la ‘Lonely’ talvolta delude, gulp!

Tentiamo con la chiesa successiva. Be’, sì, la chiesa di Kaarma è un’altra cosa. Il suo alto campanile, però, con la sua alta guglia rossa, proprio non vuole entrare nella foto.

Ed ora come ci andiamo a Viki? La carta indica varie vie, luuunghe. Oppure un più breve sterrato. Walter a causa del vento ha gli occhi irritatissimi ed iniettati di sangue. Ma io non ho mai guidato un motorino, aiuto, come si fa? Ok, fammi provare da sola. Dopo 2 metri mi fermo. “E’ facilissimo, sta in equilibrio da solo, salta su! Tu chiudi gli occhi, così ti passa l’irritazione”.

Ma dimmi tu se la prima volta che guido un motorino deve avvenire a 25 anni e per di più in Estonia! Il difficile è stato evitare le buche e contemporaneamente guidare e guardare la cartina.

Il paesaggio è sconfortante, solo, ogni tanto, qualche fattoria abitata, ma dall’aspetto disabitato. Come si può vivere così isolati? Io penso che non potrei. Come i cittadini pensano di non poter vivere in provincia, allo stesso modo i provinciali pensano di non poter vivere in città. Se vivessi isolata sarei schiava dell’auto per i miei spostamenti, però non sarebbe male avere un cavallino con calesse… Va bene, va bene, sto divagando, ma a qualcosa devo pur pensare per far passare il tempo, si è pure messo a piovere!

Ad un certo punto Walter mi dà una testata sul casco… lo sapevo, si è addormentato. Come è mai possibile che ogni volta che tiene gli occhi chiusi per più di un minuto si addormenti?

A Viki visitiamo un piccolo museo etnografico e ci ristoriamo nel suo baretto. A Kihelkonna vistiamo l’ultima chiesa, la più bella. La guardiana ci “dice” che la pala dell’altare è ispirata all’Ultima cena di Leonardo da Vinci e ci “chiede” se nella nostra guida c’è scritto. No, né nella Lonely, né in quella del Touring, che lei dimostra di conoscere bene.

Si ritorna alla base. Mi aspetta il tragitto più lungo;pur asfaltato, è il più brutto: dobbiamo essere a Kuressaare per le 18 per non dover pagare di più. Piove, non forte, ma in modo sistematicamente fastidioso; ho il vento contro e Walter continua a dormirmi addosso. 70 km di questa nenia. Nella periferia del capoluogo facciamo benzina, dobbiamo riconsegnarlo col pieno e districarci tra queste vie sconosciute senza cartina. Non so dove sono, ma sento esattamente dove sono…infatti alle 18 lo riconsegniamo. Caviamo a forza il casco dalla testa di Walter che incredibilmente ha preso la sua forma.

Non ci resta che andare a cena. Sulla ‘In your pocket’ leggiamo di un ristorante gestito da cacciatori, che serve cacciagione. All’interno ha pure vari trofei alle pareti e pellicce sul bancone. E’ un posto un po’ chic, ma che diamine, è il mio compleanno e poi mica pago io! Alla parete c’è appesa la testa di un cinghiale, non ho mai mangiato la carne di cinghiale. Sul menù c’è scritto ‘boar’, per assonanza con bear penso che voglia dire cinghiale. Quando la cameriera arriva le chiedo se il boar è quell’animale appeso alla parete, mi risponde di sì. E vai, si mangia! Tra parentesi, la sua carne è saporitissima. Dovevo venire fin su quest’isola per scoprirlo? A quanto pare sì.

Il Traspiratore – Numero 39

di L. Pugno