22° JazzAscona: New Orleans è più vicina
Maggio 11, 2007 in Medley da Claris
“Let’s play it again!”Dal 23 giugno al 3 luglio sarà di scena ad Ascona l’appuntamento con il Jazz. Quest’anno il programma è dedicato alla scena musicale di New Orleans.
Magnifici colori, con prevalenza dell’arancio, degradanti in mille riverberi differenti sulle acque del lago, che, attimo dopo attimo, si scuriscono e si confondono col legno di una barca e con l’ombra di un omino remante. In sottofondo le note graffianti della tromba di Warren Vaché, quelle cupe e struggenti del sax di Luca Velotti, ma anche gli assoli dirompenti della batteria di Eddie Locke e i suoni dolci emessi dal pianoforte accarezzato dalle mani delicate e veloci di Rossano Sportiello… e ancora la voce intensa e di grande comunicatività di Big Al Carson. Potreste pensare che stiamo guardando uno splendido dipinto di Monet raffigurante il laghetto di Giverny in quel gioiello parigino che è il museo Marmottan, invece vi stiamo descrivendo l’atmosfera sul lungo lago di Ascona in occasione del festival jazz. Terminati i temporali dei primi giorni, la settimana finale è stata esaltante, con piroette tra i cinque palchi che in contemporanea hanno ospitato centinaia di concerti, dal tramonto a notte fonda. Tiepide le sere, ma caldissimi i temperamenti degli artisti del 22° Jazz Ascona Festival e gli applausi del pubblico, soprattutto al palco Torre (quello principale, quello degli special events con Annie Ross e Leroy Jones, con Lillian Boutté e Terry Evans. Ora è tempo di voti (nostri) e bilanci, analizzati con il direttore artistico Nicolas Gilliet, col quale dobbiamo complimentarci per la presenza costante ed operativa agli spettacoli, tanto assidua da pensare che abbia il dono dell’ubiquità: succede in dieci minuti di vederlo impegnato in sequenze mozzafiato, passando dal rilasciare un’intervista, a parlare di compensi con un musicista, ad offrire una birra ad un altro, a scattare a salutare uno sponsor…
Direttore, qual è il suo bilancio del XXII JazzAscona, a livello musicale e personale?
A livello personale la più grande soddisfazione sono i continui dialoghi con gli spettatori a bordo palco. Siano essi complimenti, siano critiche, è importante per un direttore artistico essere riconosciuti. Vuol dire aver raggiunto l’obiettivo di dare un’impronta al festival.
A livello musicale sono molto soddisfatto. Nonostante il calo di spettatori di circa il 20%, dovuto a più concause, quali la concomitanza con i mondiali di calcio, la chiusura del traforo del San Gottardo e qualche temporale di troppo, la qualità proposta è stata riconosciuta eccellente dagli esperti. Di questo sono fiero, in quanto ho profuso molte energie nel scegliere personalmente i musicisti.
In prevalenza provenienti da New Orleans…
Proprio così, mi sembrava un gesto doveroso e dovuto, dopo la tragedia di Katrina che ha colpito la città della Louisiana, e tutti hanno risposto con piacere all’appello, da Leroy Jones a Mark Brooks, da Wendell Brunious a Shannon Powell. Legata alla tragedia dell’uragano, ci sono state inoltre alcune iniziative di grande presa sul pubblico: la campagna di solidarietà lanciata da JazzAscona in favore dei musicisti New Orleans, il concerto gospel di beneficenza con Topsy Chapman dello scorso giovedì di eccezionale presa emotiva e la vendita del cd della solidarietà, che continuerà ovviamente nei prossimi mesi.
Il meglio del festival 2006?
In primis, sono stato molto impressionato dall’incredibile versatilità di Rossano Sportiello. Il pianista italiano ha suonato con tanti differenti artisti, da John Allred a Reggie Johnson, a Eddie Locke e sempre è riuscito ad adattarsi alle caratteristiche altrui ed a regalare splendide emozioni al pubblico, riscendo a variare il proprio stile, passando dal be-pop allo swing, allo stride-piano… Penso questa sia la rappresentazione della vera filosofia del jazz, che coinvolge tutti i musicisti ed appassiona gli spettatori.
Altro punto che dimostra la passione dei musicisti ed il loro attaccamento al Festival sono state le band che hanno continuato a suonare anche in condizioni atmosferiche avverse, intercalando la musica con qualche battuta, una su tutte il Septet Trio sabato scorso.
Inoltre anche l’idea di avere un nome importante all’apertura del festival, quale è stato quello di Alexander Monty è piaciuta molto. In realtà c’era abbastanza scetticismo sul nome del grande maestro giamaicano, ma ero sicuro della sua performance, perché lui sa suonare in modo moderno, pur rimanendo all’apparenza legato a modi antichi.
Un bilancio dei tuoi tre anni di direzione artistica.
Positivo. Le critiche sono diminuite in maniera proporzionale anno dopo anno ed è stata apprezzata la mia filosofia di voler cambiare qualcosa nel cartellone, provando sia ad inserire qualche artista con date uniche, sia ad invitare musicisti ai confini del jazz tradizionale, come Spanky Wilson quest’anno, che ha incantato con il suo carisma, la sua classe e il suo charme. Il mio obiettivo non era quello di stravolgere il cuore del programma, che rimane fortemente ancorato al jazz classico, ma quello di incuriosire ed allettare anche fasce diverse di spettatori e dare un po’ di colore in più. E soprattutto riuscire ad avvicinare più giovani al jazz. Su quest’ultimo punto, penso di essere veramente riuscito nell’intento, coinvolgendo un maggior numero di giovani, come dimostra la loro presenza sul lungolago nelle scorse sere.
di Claudio Arissone