Visitiamo insieme il Museo Pietro MIcca

Aprile 11, 2007 in Arte da Redazione

Museo Pietro MiccaQualche parola sul museo

La guerra, si dice, è sempre la stessa. E invece quanto sono cambiati gli eserciti, i modi di combattere, le uniformi e le tecnologie! Conoscere questi cambiamenti, apprezzarne i significati non vuol dire solo cogliere delle informazioni preziose, ma inquadrare quella che è una parte della storia della propria città. La mostra storica del “Museo Pietro Micca” è stata inaugurata per ricordare il terzo centenario di una data speciale per Torino. Nel 1706 la città sostenne per quasi quattro mesi l’assalto delle truppe franco-spagnole, riuscendo il 7 settembre, dopo una feroce battaglia, a togliere finalmente l’assedio. Il museo ripercorre le tappe di quei mesi e degli anni di preparazione, in quella che è stata definita “guerra sotterranea”, riuscendo ad essere puntuale sotto tutti gli aspetti. Dalla ricostruzione delle architetture cittadine, alla storia degli armamenti, dalle panoplie, ai singoli eventi, ogni cosa è stato ricostruita con esattezza e con l’ausilio di plastici, disegni e illustrazioni, tutto rigorosamente documentato. Non si deve sottovalutare questo aspetto, perché quello che può sembrare una conoscenza ereditata, è in realtà il frutto di anni di studio, di scavi e meticolose ricerche, a volte su documenti marginali. Sistemare, catalogare, ricostruire è sempre stato l’impegno di questo museo, ora grazie anche alla collaborazione della Associazione “Amici del Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706” e del “Centro Studi e Ricerche storiche sull’architettura militare del Piemonte”.

La mostra, se si vuole percorrere l’esatto itinerario, parte dal Maschio della Cittadella di corso Galileo Ferraris, unica risultante di quello che fu un ambizioso e utile progetto del Duca Emanuele Filiberto, e prosegue al Museo Pietro Micca, in via Guicciardini 7. “Ambizioso” perché, iniziato nel 1564 e concluso nel 1566, mise in moto tutta la città, costando alla fine centomila scudi, “utile” perché fu questa fortificazione, insieme alla aggiunte successive, a bloccare l’avanzata dell’esercito francese (1).

Uno dei punti modernità del percorso museale è costituito da due innovazioni: le illustrazioni (la maggior parte realizzate da Emanuele Manfredi) e il film “olografico” proiettato nei sotterranei della Cittadella. Queste due componenti, unite ad una generale rivisitazione dei locali, fanno della mostra una ghiottoneria, soprattutto per chi si interessa, anche di tanto così, di ingegneria e architettura militare.

Museo Pietro Micca La guerra nel 1700 e quella sotterranea.

La nostra immagine mentale di una battaglia è di solito collegata agli scontri diretti fra due eserciti, prima gli arcieri, poi la fanteria e in seguito la cavalleria. In fondo ci aspettiamo quasi sempre l’assalto dell’esercito e lunghe cavalcate, in bilico fra “Braveheart” e “L’ultimo guerriero”. Altri modi di combattere, magari più codificati, restano nell’oblio o legati a pochi episodi. Sconcertante ad esempio è l’avanzata inglese nel “Barry Lindon” di Kubrick, dove uomini con tanto di tamburini si fanno fucilare camminando. Eppure allora si combatteva così in campo aperto.

“Mentre un’armata rimane ferma, l’altra avanza a passo cadenzato cercando di mantenere l’allineamento tra le unità. Il professionismo consente la ferrea disciplina occorrente per avanzare sotto il fuoco nemico. […] Si passa poi alle scariche di fucileria: veterani addestrati riescono a tirare 2-3 colpi al minuto, ma il fucile è inefficace oltre i 100 metri ed ha una scarsissima forza di penetrazione. Il combattimento è quindi deciso dal terribile scontro alla baionetta” (2).

Discorso ancora a parte è l’assedio. I popoli hanno sempre trovato modi ingegnosi per resistere, sia attraverso i luoghi e le architetture, sia attraverso le tecnologie. Vegezio nell’Epitoma Rei Militaris (IV-V d.C.) inseriva accurati sistemi per difendere e contemporaneamente attaccare un luogo, attraverso torri mobili, ponteggi, fondazioni, ecc. Una guerra di tecnologie, insomma. Ma ancora prima di lui, gli Egizi e poi Alessandro Magno utilizzarono il sistema di attacco attraverso cunicoli sotterranei. Nel racconto di Curzio Rufo, durante la conquista di Gaza da parte di Alessandro, emerge bene questa caratteristica (3).

Ma il sistema era a doppio taglio, utilizzabile sia per attaccare che per difendere. E così fu utilizzata a Torino negli anni intorno al 1700. Sebbene infatti la Cittadella fosse stata costruita nella seconda metà del ‘500, il sistema di contromine fu iniziato solo nel 1705. Ovvero, alle soglie del previsto assedio. Furono necessari 11 mesi per completare il sistema di gallerie (le contromine appunto), mentre la costruzione dei fornelli di mina fu completata solo pochi giorni prima dell’assedio.

Quella che ne seguì fu una guerra sotterranea, vinta dopo quattro mesi per una serie di buoni motivi. Innanzitutto le forze franco-spagnole giunsero troppo tardi, permettendo a Torino di fortificarsi, e giunsero con un numero di truppe insufficienti. La Feuillade, allora comandante trentaduenne, richiese subito un rinforzo di quattordici battaglioni, ma le truppe non vennero mai inviate (4). In secondo luogo, i francesi si trovarono a combattere in un territorio ostile che non conoscevano affatto, mentre i torinesi gestivano le operazioni con estrema consapevolezza (5). Ma la causa determinante fu l’enorme sbaglio tattico di attaccare sul lato a ponente della città, dove si trovava l’Opera a Corno, difficilissima da avvicinare e combattere (6).

Tuttavia “pochi aspetti delle operazioni d’assedio a Torino hanno maggiormente contribuito a restituirci con immediatezza e intensità il carattere drammatico, altamente emotivo e spietato dei combattimenti come i numerosi episodi che costellano le lunghe e sfibranti operazioni condotte dai minatori delle due parti per il controllo del sottosuolo al di sotto degli spalti della Cittadella” (7).

L’episodio di Pietro Micca.

Uno di questi episodi fu proprio quello che provocò la morte di Pietro Micca, avvenuto fra la notte del 29 e il 30 agosto del 1706. La ricostruzione di ciò che avvenne in quella notte è nota chiaramente solo dal marzo 1958 quando, grazie agli scavi di Guido Amoretti, venne alla luce la scala fatta saltare da Pietro Micca. Il ritrovamento ha permesso così di determinare la dinamica dell’atto di eroismo del giovane minatore di 29 anni, nato a Sagliano il 6 marzo del 1677. Il suo fu un atto certo disperato e dettato dalla fretta, ma non certo suicida. Nella notte fatidica, infatti, entrarono nell’ingresso della mezzaluna alcuni granatieri dopo uno scontro a fuoco con le truppe torinesi. In breve la situazione si fece pericolosa e Pietro Micca, insieme ad un suo compagno minatore, prese la disperata decisione di far saltare la porta che conduceva al resto dei sotterranei, grazie al fornello di mina lì vicino.

Gli ultimi istanti dovettero essere frenetici.

Innanzitutto mise in salvo il suo compagno e lo fece avanzare, mentre lui finiva il lavoro. Nella fretta, però, non riuscì a calcolare bene la lunghezza della miccia (la cosiddetta “salsiccia”), troppo corta per mettersi del tutto in salvo. Intanto i francesi erano in procinto di sfondare la porta a colpi d’ascia. Pietro Micca accese la stoppa e scappò, ma non riuscì ad allontanarsi abbastanza in fretta dal fornello di mina perché qualche giorno prima (dopo l’assalto alla Mezzaluna del Soccorso del 26 agosto) erano state tolte le traversine in legno fra i gradini, che rendevano più sicure le pedate e più rapida la discesa.

La sua morte fu dovuta ad una serie di eventi “All’atto dell’esplosione, l’onda d’urto colpì Pietro Micca con una forza di 14 tonnellate, portan
do in 1/10 di secondo la sua velocità da quella di un uomo in corsa a quella di 70 chilometri orari. Oltre a possibili traumi contro le pareti della galleria, l’insostenibile accelerazione causò gravissime lesioni interne. Inoltre, la forte concentrazione di ossido di carbonio, mescolato ad altri gas tossici, come l’anidride solforosa, innescò un meccanismo inibitorio per stimolazione della mucosa nasale, in grado di causare un rapido decesso” (8).

Conclusione

Questo e altro ancora nel “Museo Pietro Micca”, che si avvale anche di una discesa nei sotterranei della Cittadella davvero unica ed emozionante. La mostra è disposta su due livelli. Il primo, introduttivo, descrive la situazione storica di quegli anni grazie ad illustrazioni e ricostruzioni dettagliate, nonché con l’ausilio di alcuni modelli tridimensionali. Assolutamente da non perdere le bellissime illustrazioni a china di Emauele Manfredi, fra cui spiccano “Vittorio Amedeo lascia Torino” e l’incredibile scena notturna “La Mezzaluna del Soccorso durante l’assalto generale del 26-27 agosto”. Scendendo le scale, si accede al secondo livello, più ampio e quasi tutto rivolto alla guerra sotterranea. Anche qui fanno da cornice plastici, curiosi ed efficaci, come quelli (due) che illustrano la costruzione di un ramo di mina e l’effetto della sua esplosione.

Segue un lungo percorso all’interno dei sotterranei della Cittadella. Le guide, prima di iniziare la visita, sconsigliano sempre di proseguire a coloro che soffrono di claustrofobia. È una cauta avvertenza, perché i corridoi sono davvero bassi e scarsamente illuminati (siamo sottoterra…), in alcune parti anche stretti e umidi, e la sensazione di avere tonnellate di terra sulla testa alle volte può non essere piacevole. In questa sezione della mostra, oltre alle informazioni delle guide, si può ammirare anche la proiezione di tre brevi filmati “olografici”. In pratica, le scene sono proiettate su una rete che fa da schermo, ma che risulta trasparente quando il videoproiettore è spento. Questo accorgimento crea un’illusione ottica, per cui i personaggi sembrano davvero presenti sul luogo in quel momento. Un appunto: i tre filmati sono tutti recitati in dialetto piemontese.

Nel percorso, infine, è possibile osservare i luoghi dello scontro in cui è morto Pietro Micca, venuti alla luce appunto nel 1958. Completano il tutto, come sempre, le guide, davvero competenti e mai noiose, a cui va inoltre il merito di essere volontarie.

Sarebbe opportuno spendere due parole ancora per il catalogo della mostra. Ne esistono due, uno “pocket” tascabile (A6 spillato), detto “La mostra in tasca”, che costa solo 1 euro e un secondo, più completo, a colori e dal prezzo incredibile: 8 euro. Ovvero, il catalogo perfetto. 322 pagine di interventi più che autorevoli, su eserciti, uniformi, armi dell’epoca, architettura militare e ovviamente storia del Piemonte nel 1700. Imperdibile per chi ne vuole sapere di più, molto di più.

Note

(1) “Il 23 luglio, in una lettera inviata da Dunquerque al ministro della guerra Charmillart, questi scrisse una frase incontestabile: « … il grande errore dell’assedio deriva dalla cattiva ed ostinata scelta degli attacchi, che non dovevano mai essere sferrati da quella parte ». Questo sbaglio clamoroso fu una delle principali cause della sconfitta francese”. Cit. da Amoretti – Meinetti, “La Cittadella e le mura di Torino”, catalogo della mostra, pag. 93.

(2) Citazione dal piccolo catalogo “La mostra in tasca”, sezione “Uno”, reperibile presso il museo.

(3) Liber IV,6, 8-9 e 21-23. I passi si possono trovare nella “Historiae Alexandri Magni Macedonis”, nella recente e ottima traduzione di Giovanni Porta edita da Rizzoli.

(4) Catalogo della Mostra, saggio di Guido Amoretti, “L’assedio e la liberazione di Torino”, pagg. 167-169.

(5) Catalogo della Mostra, saggio di Bevilacqua, Petitti, Zannoni, “L’assedio sotterraneo”, pag. 105.

(6) Catalogo della Mostra, saggio di Amoretti, Meinetti, “La Cittadella e le mura di Torino”, pag. 93.

(7) Catalogo della Mostra, saggio di Bevilacqua, Petitti, Zannoni, “L’assedio sotterraneo”, pag. 104.

(8) Catalogo della Mostra, saggio di Pergiuseppe Meinetti, “Pietro Micca e altri eroi dell’assedio”, pag. 198.

Museo “Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706”

Via Guicciardini, 7 – Torino

Orario: da martedì a domenica 9 – 19, lunedì chiuso.

Ingresso gratuito.

Prenotazione visite gruppi: 011. 54.63.17

di Davide Greco