Soldati di Salamina

Giugno 15, 2003 in Libri da Stefano Mola

Javier Cercas, “Soldatidi Salamina”, Guanda, pp. 210, Euro 14,00

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Vicino al confine con la Francia, Rafael Sanchez Mazas, scrittore, ideologo della falange, è prigioniero dei repubblicani in rotta. Siamo nella guerra civile spagnola. Una mattina, insieme ad altri cinquanta, viene condotto in una radura per essere fucilato. Poco prima che partano i colpi, tenta una fuga disperata, rifugiandosi nel bosco. Si nasconde affannosamente tra i cespugli. All’improvviso, compare vicino a lui un soldato repubblicano. I due si fissano in silenzio. Una voce da lontano chiede: “L’hai trovato?”. Il soldato risponde che lì non c’è nessuno, e se ne va. Sanchez Mazas ha così salva la vita.

Ai giorni nostri, un praticamente ex scrittore, ora giornalista per guadagnarsi da vivere dopo lo scarso successo dei suoi primi due libri, è affascinato da questa storia. Il suo nome è Javier Cercas, ed è il protagonista del romanzo. La vicenda di Sanchez Mazas lo ossessiona: risalendo di testimonianza in testimonianza, cerca di ricostruire i fatti. Soprattutto, spera di ritrovare il soldato repubblicano, per capire le motivazioni del suo gesto. Inizia così a scrivere un libro intitolato “Soldati di Salamina”, proprio come il libro che Sanchez Mazas aveva vagheggiato di scrivere per narrare la sua avventura. Javier vuole farne un “racconto reale”, non finzione.

Da queste poche note, si capisce quanto questo romanzo sia denso di suggestioni e di relazioni metatestuali e quanto racconti della letteratura stessa. Infatti, se prendiamo in mano il libro oggetto fisico che possiamo acquistare in libreria, leggiamo sulla copertina “Javier Cercas” come autore, e “Soldati di Salamina” come titolo. Ma lo Javier Cercas che compare come autore sulla copertina non è lo stesso Javier Cercas che cerca, dentro le pagne del libro, di raccontare la storia di Sanchez Mazas e del soldato sconosciuto. Di “Soldati di Salamina”, poi, ce ne sono addirittura tre: quello che Sanchez Mazas aveva progettato di scrivere, quello che Javier Cercas protagonista del libro racconta di scrivere, e quello che Javier Cercas “vero” ha scritto e che teniamo in mano.

Questo gioco di scatole cinesi mette in dubbio la possibilità stessa che esista un “racconto reale”. Lo stesso Javier Cercas (quello vero, in una bella intervista in spagnolo al sito Terra.com), ha dichiarato che intendeva rendere manifesto il fatto che “ogni narratore è inventato”, perché “scrivere è fabbricarsi una identità”. Quindi, un “racconto reale” è impossibile, perché esiste sempre e comunque un punto di vista. C’è un passo significativo del libro dove il protagonista commenta un filmato in cui Sanchez Mazas racconta l’episodio della fucilazione: “le parole sono così precise e le pause di silenzio talmente misurate da dare l’impressione, persino lui, di recitare, come un attore che stia interpretando un ruolo sul palcoscenico […] ed ebbi la certezza che quanto aveva raccontato Sanchez Mazas a suo figlio (e ciò che poi lui raccontò a me) non era quello che lui ricordava di aver vissuto, ma quello che ricordava di aver raccontato altre volte” [pag. 39]

Ma al tempo stesso, sempre in questo gioco di specchi, e restando alle parole di Cercas-vero, “la professione di un romanziere è mentire per dire la verità. Gli scrittori, tutti sono autobiografici, perché lavorano con le loro vite, con il materiale delle loro vite”. E poi, citando Vargas Llosa, “Ogni romanzo è uno strip tease dei sogni”. Allora implicitamente, se ogni racconto è finzione, sembra venir meno la possibilità di comprendere le ragioni vere dell’agire umano. E quindi di comprendere il perché del gesto del soldato.

Ci siamo dilungati fin troppo su aspetti (per noi) affascinanti e forse un po’ tecnici. Che però, come già abbiamo iniziato a vedere, non sono puramente formali, perché stanno alla base del mistero di raccontare storie. E in questo caso non sono sterili ma producono senso, andando a scalfire cose come la possibilità di dire la verità. Non solo, come vedremo in seguito, permettono anche un equilibrio di tono nella narrazione. Ora è però il momento di parlare degli altri motivi per cui questo libro spiazza, smuove degli equilibri, mette i piedi nelle sabbie mobili. È sempre importante quando questo succede, perché significa mettere di fronte a delle domande, creare rughe sulla fronte, deragliamenti da binari.

In primo luogo racconta la storia di uno scrittore falangista. Ma non c’è revisionismo: le responsabilità di Sanchez Mazas nella creazione della mitologia del franchismo non vengono negate. Al tempo stesso, c’è differenza tra cancellare con un tratto di penna un nome e cercare di sporgere la testa dietro una faccia. Ad esempio, si può affermare che “Rivalutare uno scrittore falangista significava soltanto rivalutare uno scrittore; o meglio, era un modo di rivalutare se stessi come scrittori rivalutando un bravo scrittore” [pag. 18]. Sanchez Mazas non è un grande, ma è comunque un bravo scrittore. Vagheggia la restaurazione di una imprecisata età dell’oro, per la quale ritiene necessario combattere: ma in fondo si rivela un codardo, non un eroe. Eppure, dopo la vittoria del franchismo, si adopera per tutti coloro che hanno condiviso con lui il periodo alla macchia nel bosco, dopo la scampata fucilazione.

Insomma, Cercas ci fa entrare nella zona grigia, che è poi quella in cui risiede gran parte dell’umanità. È chiaro che crea qualche disagio sentir parlare dell’ideologo del regime franchista come uomo, pur senza tralasciarne responsabilità e debolezze. È molto più facile usare una scatola, dove l’unica sfumatura è dentro o fuori. Si può scindere il giudizio sul ruolo pubblico dalla valutazione delle qualità private? O forse conta fuggire ogni forma di assolutismo estremista per esercitare sempre e comunque uno sguardo umano? E non è in fondo quanto fa il soldato repubblicano nel bosco non svelando la presenza di Sanchez Mazas sfuggito alla fucilazione? Come dice Cercas nell’intervista prima citata, “quando qualcuno guarda negli occhi un’altra persona, non la può uccidere, è impossibile. Perché vede un fratello, qualcuno che è come lui”.

Non è però solo la figura di Sanchez Mazas a occupare tutto lo spazio. L’altra, che cresce man mano che il libro procede, è quella del soldato repubblicano. Che potrebbe essere quell’incredibile e umanissimo personaggio di Miralles alla cui figura e alla descrizione della sua epopea per i campi di battaglia di mezzo mondo durante la seconda guerra mondiale è dedicata l’intera ultima parte. Se sia o meno lui il soldato sconosciuto, vorremmo lasciarlo scoprire al lettore. Ma che lo sia o no, questa figura è necessaria al libro, perché appartiene al campo avverso, a quello repubblicano. Ci fa vivere le cose dall’altro lato. Cercas ha il gran merito di essere sottile, di non recintare giudizi con filo spinato, ma di lasciare sempre degli spiragli. È un eroe? O forse è “un uomo […] che ha avuto il coraggio e l’istinto della dignità e per questo non ha mai sbagliato, o comunque non si è sbagliato nel momento in cui contava davvero non sbagliare”. Per cui lo scrittore Javier “pensa a un uomo che è stato limpido e valoroso e puro e all’ipotetico libro che lo resusciterà quando sarà morto” [pag. 210]

Le pagine in cui Cercas-protagonista racconta il suo incontro nella casa di riposo con Miralles vecchio, stanco, scorbutico, commovente, ancora però capace di scherzare e guardare con occhio attento le donne, sono bellissime. Ed è grazie a Miralles che Cercas dà per contrasto parte delle risposte. Se è vero che non bisogna negare a nessuno il riconoscimento della dimensione umana, ci sono comunque delle differenze. Miralles, senza fare proclami,
senza scrivere libri, agendo “ha il coraggio e l’istinto per conservare la dignità”. Sanchez Mazas, pur vivendo in modo molto meno duro, e pur essendo un buon scrittore, non ci è riuscito. Alla fine, non è poi così importante sapere se sia Miralles il soldato del bosco. Quello che conta, è raccontarne la storia, permettendogli di sopravvivere grazie al ricordo.

Abbiamo quindi un libro che non solo dice molto sulla letteratura, sul mistero di raccontare storie, sulla verità, ma anche un romanzo che ci pone delle domande importanti: in che modo è giusto giudicare? che cosa significa essere eroi? possiamo veramente spiegare con le parole le ragioni che stanno dietro alle nostre azioni? che cosa significa e che importanza ha il ricordo di chi non c’è più? Soprattutto lo fa con una buona dose di autoironia, sempre con il tono di chi non si prende troppo sul serio e che è sempre sul punto di crollare di fronte al sospetto del suo ipotetico fallimento. E questo è possibile proprio grazie alla figura dello scrittore Cercas-protagonista-del-libro. Quindi, il gioco di scatole cinesi non è artifizio.

di Stefano Mola