Scrittura e confessione

Maggio 14, 2003 in il Traspiratore da Redazione

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Nei libri il cui tema centrale è la confessione, la scrittura acquisisce il compito di rivelare una colpa e di permettere l’elaborazione delle emozioni a essa legate. Ne sono due esempi Rousseau e Kafka.

Ne “Le confessioni” di Rousseau l’obiettivo dello scrivere è riparatorio, ma permette al tempo stesso di provare un sottile piacere nel ricordare, nonché rende possibile l’intreccio tra il ricordo romanzato e l’obiettività della memoria. Il piacere è dato dal fatto che il confessare determina un immediato abbassamento della tensione interna. Confessare, in più, permette la ripetizione dell’azione ed inoltre soddisfa il bisogno di punizione. Infatti, confessando una colpa, si sa che ne seguirà una punizione e, da un punto di vista psicologico, per emendarsi dalla colpa, la confessione sembra non bastare ed è necessaria anche la punizione.

Nelle confessioni dell’autore svizzero l’atto si configura come una modalità di rielaborazione psicologica lenta-globale, che ben si riscontra nel suo raccontare tutto nei minimi dettagli.

In ogni confessione l’elemento esibizionistico è molto forte, proprio perché ogni confessione necessita di un destinatario, che ascoltando e condividendo la conoscenza dell’esistenza di una colpa ne diventa «complice». Si instaura tra i due (scrittore e lettore) una sorta di complicità. Le confessioni diventano un pretesto per scrivere della propria vita e, come in ogni autobiografia, la spinta a descriversi al meglio è inevitabile. Nel caso delle confessioni, la spinta diventa quella di descriversi al peggio, ingigantendo la propria colpa e immaginando conseguenze più negative di quelle reali (si veda a tal proposito la descrizione dell’episodio che coinvolge Rousseau e una cameriera).

A differenza di Jean Jacques Rousseau, Franz Kafka non è stato autore di un libro di confessioni, ma le sue confessioni sono “sparse” nei suoi vari scritti: lettere, diari, libri.

In Kafka la confessione non è il pretesto per descrivere la sua vita passata, bensì quella presente. La colpa di cui dice di essersi macchiato e che confessa è quella di scrivere. La colpa della scrittura è “un salario che noi paghiamo al demonio”. La scrittura diviene un elemento demoniaco, perché è un bisogno e un piacere. “Scrivere la notte, avvolto dalle tenebre, talvolta in modo compulsivo”.

Per lo scrittore che condivide quest’ottica, la scrittura comporta un isolamento tale da impedire una vita relazionale normale, diviene una malattia di quelle che portano il malato a isolarsi e la società a isolarlo. Per lui confessione e bugia sono la stessa cosa, perché non si può comunicare ciò che si è, ma solo esserlo: attraverso la scrittura è possibile costruire un ponte tra l’Io che scrive e l’Io che esperisce.

Per entrambi, come per tutti coloro che scrivono, scrivere rende possibile sopportare le asperità, l’angoscia degli eventi, e permette di trasformare l’emozione in qualcosa di condivisibile.

Scrivere presuppone sempre un lettore. Forse allora, scrivere le proprie confessioni, oltre ad offrire il pretesto per parlare della propria vita (passata o presente), diventa anche un mezzo per rispondere a un bisogno relazionale.

Il Traspiratore – Numero 43 – 44

di L. Pugno