Ricercatore eclettico

Febbraio 10, 2003 in il Traspiratore da Redazione

Quando Galileo Galilei, nel suo “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, fa discorrere il ricercatore Salviati, l’intelligente profano Sagredo ed il filosofo aristotelico Simplicio, oltre a confrontare fra loro diversi sistemi cosmologici, unitamente ad un’approfondita descrizione di osservazioni scientifiche, non dà in pasto al lettore anche della buona letteratura?

Quando Christiaan Huygens, ricordato come il padre della teoria ondulatoria della luce, scopre “l’anello” di Saturno (all’epoca la risoluzione dei telescopi non permetteva di sapere di più) nascondendo tale rivelazione in una frase latina anagrammata per occultarla all’Inquisizione, dedicandosi inoltre alla progettazione del pendolo cicloidale -fra molature di lenti ed amabili discussioni di pittura con Rembrandt-, non mostra forse di veleggiare sul mare dello scibile come un’ape da fiore a fiore?

Esempi di questo tipo conducono generalmente il pensiero al nome di Leonardo Da Vinci, sovente ritenuto l’incarnazione stessa dell’eclettismo, esprimente una brama di conoscenza, nonché di messa in pratica della medesima, che va oltre le comuni quanto limitanti categorie mentali, in vista di una vera e propria “sinergia delle scienze”. Sinergia che certamente può esser definita “di rinascimentale memoria”, ma che tuttavia può sicuramente esser anche cavallo di battaglia d’un sempre più diffuso anelito ad una visione olistica della vita. Certamente i sopracitati personaggi possono esser chiamati “geni”, certamente “potevano permetterselo”, certamente “erano altri tempi”, fu “questione di stile”, etc. Tuttavia il problema di un’eccessiva settorializzazione del sapere e, perché no, delle arti, oggi è sempre più sentito.

Già Nietzsche affrontò la questione, mostrando un certo disprezzo per questi uomini di scienza e tecnica che vivono nel loro “angusto angolo”, quasi con i paraocchi, e che, implicitamente, tendono talvolta a tirare acqua quasi esclusivamente al proprio mulino. Sottolineo “quasi esclusivamente”, infatti è palese che la maggior parte delle persone miri al proprio vantaggio, ma qui ci si riferisce anche ad un vantaggio “culturale ed informativo”, oltre che economico e di fama. Ciò che preoccupa non è solo il rischio di un rallentamento del “progresso” o di cosa per esso comunemente s’intende, ma anche di un “ostacolarsi vicendevole” fra le varie branche della scienza e della tecnica. Può sembrare un paradosso, ma non lo è. Non è un caso che lo stesso Nietzsche, per molti versi, fu una sorta di “Leonardo della filosofia”, con contraddizioni più o meno apparenti, lati più o meno oscuri, etc. Però questa, come si suol dire, è un’altra storia.

Non si può ovviamente negare che molti “ricercatori” dei nostri tempi coltivino i loro bravi “hobby” (volutamente scritto al singolare, in quanto mettere al plurale un termine straniero in testo italiano è un errore che la grammatica definisce “barbarismo”), nonché passioni e interessi vari, tuttavia è ben altra cosa. Quest’eccessiva specializzazione, ufficialmente generata da una quantità sempre crescente d’informazioni, rischia di divenire un vero e proprio “collo di bottiglia” per quanto riguarda un armonico, olistico e, perché no, in potenza “geniale” sviluppo di scienza e società.

Isaac Newton, che non ha bisogno di presentazioni, fu un altro grande eclettico, tuttavia spesso oscuro, in questo suo “operare sinergico”, pur essendo scrittore prolifico; lasciò infatti casse intere piene di carteggi privati. Il celebre economista Lord Keynes, fra gli anni trenta e quaranta del ventesimo secolo, studiò a lungo una buona quantità di questi carteggi privati, da cui trasse alcune conclusioni che espose in una conferenza che egli tenne in occasione del terzo centenario della nascita di Newton. Qualche brano è riportato nel libro “Personaggi e scoperte della fisica classica”, scritto dal fisico italiano Emilio Segrè, il quale, fra l’altro, collaborò alla fabbricazione della prima bomba atomica.

Uno di questi brani è il seguente: “Newton non fu il primo rappresentante dell’età della ragione. Egli fu l’ultimo dei maghi, l’ultimo dei babilonesi e dei sumeri, l’ultima grande mente che guardò il mondo visibile e intellettuale con gli stessi occhi di coloro che cominciarono a costruire la nostra tradizione culturale un po’ meno di diecimila anni fa. […] In termini volgari moderni, Newton era profondamente nevrotico, di un tipo non raro, ma -a giudicare dai documenti- lo era in un grado estremo. I suoi istinti più profondi erano occultistici, esoterici, semantici, con una profonda tendenza a ritirarsi dal mondo circostante, un terrore paralizzante di esporre i suoi pensieri, le sue opinioni, le sue scoperte, nude, alla vista e alla critica del mondo.” Interessi quindi ben al di là della fisica e della matematica, ma che in qualche modo ad esse si ricollegano, in quanto l’alchimia, e soprattutto la cabala, si basano anche su concetti matematici o, meglio, numerici.

Le opere dei personaggi citati, rappresentanti illustri d’una ben più ampia galleria di ritratti, dovrebbero far riflettere non solo sui costumi del passato, ma anche del presente e del probabile futuro.

“O tempora o mores” sicuramente “docet”, soprattutto in questo caso. Detto per inciso, a proposito di “latinorum”, alcuni europarlamentari hanno recentemente proposto il latino come una delle possibili lingue ufficiali dell’Unione Europea, anche in vista dell’allargamento ad altri Stati, con conseguente “babele linguistica” e ciò che da essa può derivare; per la serie: “Prima l’Europa o prima gli europei?”

Chiudo questa breve panoramica di una delle “professioni” sicuramente più elitarie che esistano, ma così spesso determinante per le sorti dell’umanità, con una semplice osservazione derivante da alcuni servizi giornalistici televisivi e da alcune pubblicità, televisive e cartacee. Mi spiego: capita di vedere al telegiornale dei servizi che parlano di ricerca o scoperte scientifiche, come capita di vedere alcune pubblicità che trattano la tematica per varie ragioni. Ebbene, non è raro che in molti di questi casi si possano vedere uomini e donne (più sovente queste ultime), in camice bianco, che compiono la seguente azione: pipettano. Ora, cosa significa “pipettano”? Il verbo “pipettare”, in gergo di laboratorio, significa trasferire una sostanza, generalmente liquida, da un contenitore ad un altro, per mezzo di “pipette”. Le “pipette” possono essere semplici tubi di vetro o di plastica, muniti o meno di tettarella, oppure strumenti più complessi simili a siringhe, impiegati soprattutto in ricerche biochimiche. Esistono anche veri e propri robot che, nel caso di analisi complesse, compiono il “pipettaggio” o “pipettatura”, che dir si voglia.

Ora, cosa c’entra mai tutto ciò con la “sinergia delle scienze”? Questo è un tipico esempio di “settorializzazione eccessiva”. Non dico che l’uso delle pipette sia direttamente collegato ad essa, ma sicuramente è un’immagine chiara di quanto stia oggi accedendo in ambito scientifico; si tratta di un chiaro simbolo. I media mostrano una veritiera immagine di una tipologia di lavoratore e lavoratrice che però, con rispetto parlando, dà l’idea di un semplice “automa acculturato”. In tempi di disoccupazione diffusa non possiamo certo permetterci di fare gli schizzinosi, tuttavia la realtà dei fatti è nota. In alcuni casi, tanto varrebbe usare i robot. Per fortuna, però, non ci hanno ancora del tutto sostituito. Naturalmente non s’intende assolutamente generalizzare. È stata usata questa ricorrente immagine della “pipettatura” semplicemente come simbolo di un andamento delle cose. Fateci caso, quando vedete queste pipette in televisione, o su manifesti per le strade. Ricordo una ragazza, dal look tipicamente “pankabbestia”, che qualche anno fa mi disse, in un laboratorio de
ll’Università, a proposito di questa mia osservazione: “Pipettano… Pipettano… Cazzo pipettano?”

Il Traspiratore – Numero 41

di E. Specchio