Recensendo Idomeneo

Gennaio 31, 2010 in Spettacoli da Stefano Mola

Idomeneo 1Idomeneo, è un capolavoro? Farsi questa domanda, dalla trincea di ido-latria mozartiana in cui militiamo è già di per sé significativo. La sostanza musicale, c’è. L’orchestra è già un tessuto per le voci, un embrione di quello che ascolteremo nel trittico dapontiano. Però. Eh, sì. Miracoli contro il libretto difficile farne. Il testo è in molti punti un ricettario di arie, l’interazione tra i caratteri limitata. Succede che il personaggio arrivi a centro ring, che implicitamente si dica: fuori i secondi, con tutto il resto. Hai voglia poi di strotolare un tessuto sopraffino, un fiume musicale dove tutto si tiene. Chi ascolta fa i conti con l’azione. E in questa vicenda di castighi poco accade.

In questi casi, c’è bisogno d’un miracolo di regia. Duole dirlo, perché siamo livermoriani convinti, ma questa volta il miracolo resta a metà. Il confronto con lo splendido lavoro che lo stesso Davide Livermore ha fatto per Aci e Galatea, spettacolo con cui il teatro in musica era tornato al Carignano, è perdente. In Aci e Galatea, succedeva ancora meno. L’interazione drammatica tra le immagini e i raddoppi dei cantanti con danzatori rendeva il tutto mirabile e perfettamente coerente, incollando l’occhio e non solo l’orecchio, alla scena.

Idomeneo 2Manca qui quell’idea che faccia andare oltre, quell’invenzione che riesca a scrostare la staticità drammatica. La scena è essenziale: un letto, un tempio inclinato dove è iscritto il nome del protagonista, una macchina, un televisore. Le pareti sono fatte di gocce, come se fossimo sott’acqua. Questo secondo me ha un senso, come d’apnea: la vicenda è liquidamente soffocata dal suo motore non propriamente eroico. Idomeneo fa un voto: sacrificare il primo vivente che incontrerà sulla spiaggia in cambio della sua salvezza. Questo imprigiona la vicenda, nella profondità acquatica del voto al dio Nettuno. Potremo uscire alla luce e all’aria solo dopo che in qualche modo questo vincolo venga sciolto.

Funziona anche la mano che il protagonista immerge nell’acqua all’inizio e che viene proiettata a video e amplificata sui fondali: è Idomeneo in fondo che annega se stesso, che arma con la sua mano quella del dio. Ma a parte questo, come già detto, la sensazione complessiva di staticità non viene risolta.

Veniamo ora alla parte musicale. Assegniamo il voto più alto a Matthew Polenzani, un Idomeneo possente, disperato, pieno di pathos. Definirei nobile l’Idamante del mezzosoprano romeno Ruxandra Donose, buona anche Annick Massis nei panni di Ilia. Elettra è stata sciantosamente e appasionatamente interpretata da Eva Mei. L’esecuzione di Tomáš Netopil ci è parsa molto fluida, attenta ad evidenziare quando di unificante c’è nella musica di Mozart. Ancora più bravo del solito il coro, diretto da Roberto Gabbiani.

di Stefano Mola