Per una stupida cena

Gennaio 25, 2004 in il Traspiratore da Redazione

“E’ ancora pazza di me, lo sento. Non può vivere senza la mia voce, né respirare aria diversa dalla mia.” Queste sono solo una parte delle paranoie che mi flagellavano a pochi giorni dalla partenza di Marilene, dopo un litigio destinato ad entrare nella storia per quanto era stato burrascoso e plateale. Eravamo a cena da mia madre: pasta al pesto e datteri freschi di supermarket.

La ragazza mostrava segni d’insofferenza al solo pensiero di dover pasteggiare con mia madre. “Ma è proprio necessario che venga? Inventati una scusa: dille che ho un saggio di danza e che senza di me non possono andare in scena.”

“A parte il fatto che non hai mai messo un tutù in vita tua, non mi pare di chiederti troppo: basta poco per farla felice, perché negarle un così piccolo favore?”

Il discorso era coerente e non avrebbe ammesso risposta, se non per il fatto che uscivo con una ragazza stronza e cinica… “Sai a me cosa interessa di quella vecchia…” e così era.

Ci sediamo al tavolo della sala, quello rotondo con le sedie rivestite di pelle, apparecchiato a festa.

“Era da tanto che non tiravo fuori il servizio dello zio Franco; sarà dalla tua prima comunione, sai Pierre…”

“Ma va? Signora, potrebbe darmi carta e penna? Non voglio rischiare di dimenticare un simile evento. Pierre, quanti anni fa hai preso la sacra comunione per la prima volta?”

“Quindici anni fa, Marilene.”

“Ha sentito signora? Sono quindici anni che non usa la sua argenteria: sono sinceramente inebriata d’un tale onore.”

“Scusaci un attimo mamma.”

Ero furibondo, sentivo che avrei potuto farle del serio dolore fisico, ed ero pronto a farlo.

“Ma con chi credi di aver a che fare? Quella povera signora china sui fornelli dalle sei di questa mattina per preparare un succulento pasto a te, bella mia, è mia madre.”

“Ascoltami, bello, mi hai stufata: dammi il cappotto che levo il culo da questa topaia…”

E sciaf, il primo di una lunga serie di schiaffoni si scontrò sul suo viso truccato con cura e certosina precisione. Forse troppo lunga, la serie dico, visto che dovetti trasportarla al più vicino ospedale perché le curassero una serie di ematomi e graffi che facevano a gara con quelli di Mike Tyson dopo un incontro.

“Sei un gran cretino, guarda come mi hai ridotto.”

Mi faceva tenerezza, così ammaccata, e presi ad accarezzarla per dimostrarle che le ero vicino.

“Piantala di toccarmi, sparisci dalla mia vista, e anche dalla mia vita.”

Sembrava davvero arrabbiata e ritenni fosse saggio lasciarle un po’ di tempo per pensare a quello che lei aveva fatto a me.

Passarono tre giorni senza che ci sentissimo e decisi che era ora di telefonarle.

“…Messaggio per quello stronzo di Pierre: sono partita per una crociera intorno al mondo. Cercherò di divertirmi con tutti i marinai che incontrerò. Con affetto, Marilene.”

Sintetica e pungente come un cobra, la segreteria telefonica mi sembrava essere stata chiara. La ragazza mi aveva lasciato per una ciurma di marinai ubriachi.

Così tornai a stare con mia madre, quella vecchietta tanto simpatica e carina che aveva mandato all’aria la mia storia d’amore.

“Pierre…”

“Sì, mamma…”

“Posso chiederti una cosa?”

“Certo, mamma!”

“Che fino ha fatto quella ragazza tanto gentile con cui sei venuto a pranzo da me?”

“Secondo te, mamma?!”

Il Traspiratore – Numero 46

di G. Ventura