Le osterie di Dublino

Novembre 28, 2006 in Libri da Gustare da Simona Margarino

Titolo: Le osterie di Dublino
Autore: Andrea Maia
Casa editrice: Il Leone Verde
Prezzo: 10.00
Pagine: 104

Le osterie di DublinoIn “Le osterie di Dublino. La cucina irlandese di James Joyce”, edito da Il Leone verde (Torino, 2005), il fondatore del Centro Studi PANIS nonché membro del comitato della Società Dante Alighieri Andrea Maia rievoca con leggerezza l’Ulisse di James Joyce, testo che in 700 pagine ha saputo rivoluzionare l’idea e la storia di come fare letteratura, per ritrovarne molteplici legami con il cibo e la cucina, al di là degli scontati e stereotipati rimandi a birra, whisky, sidro di mele e Irish coffee.

Il lettore può così assaggiare la passione gastronomica di Leopold Bloom, ripercorsa attraverso le ricette di alcuni dei suoi piatti preferiti (minestra di rigaglie, rognoni di castrato alla griglia), profumi, aneddoti e note sulla tradizione locale. Dall’alba del 16 giugno (data celebrata ora ogni anno dai Dubliners moderni) 1904 l’uomo qualunque protagonista del romanzo –se così si può definire- si incammina come il mitico Odisseo in un vagabondaggio in cerca del suo Telemaco Stephen Dedalus per tornare infine alla moglie Molly e la sua colazione a letto. E, nel suo orizzonte di ghiottone dichiarato, si scontra con uomini e donne divisi tra pub e ubriacature, l’oca grassa rosolata e le cupolette di gelatina giallo-rossa di zia Kate, le patate bollenti e farinose di Lily, il disgusto per il ristorante e un tramezzino al formaggio di un bar. A circondarlo la fragranza di pane, l’odore pizzicante dello zenzero, il sentore dei biscotti e delle filze lustre di salsicce da saziarsi con gli occhi, l’aroma del sangue di porco cotto e drogato.

Pensa per 24 ore Leopold, e una delle sue considerazioni pare quasi filosofia delle più acute: “Pasta di carne Dignam. I cannibali la mangerebbero con limone e riso. Il missionario bianco è troppo salato. Come carne di maiale in salamoia. Immagino che il capo si mangi il boccon del prete. Dovrebbe essere coriaceo per via dell’uso. Le mogli in fila per vedere che effetto fa”. Ai giorni nostri l’ironia dell’evalingelizzatore apostolo che regala un chilo di farina nel Terzo Mondo per tener buona la pancia di qualche ossa d’africano insieme alla propria coscienza si vende ancora bene. Allora, forse è meglio il flusso di coscienza di Molly che chiude l’opera di uno degli irlandesi più geniali mai esistiti con un semplice “sì”, al suo amante fidanzato, come per noi a un piatto di qualcosa, con l’appetito che fa dimenticare tutto quanto ci sta intorno.

di Simona Margarino