La velocità del grido: Elliot Sharp

Febbraio 8, 2004 in Musica da Cinzia Modena

Elliot SharpQualche tempo fa mi capitò di leggere un articolo scientifico. Veniva descritta la scoperta di un Si bemolle rilevato al centro della galassia di Perseo. Questa nota è potentissima, ma non udibile da orecchio umano. Lo strumento che produce questo evento è Perseo A, un buco nero che trae il nome dalla galassia in cui risiede, o meglio: sono le perturbazioni molto forti che origina per attrazione gravitazionale a creare l’onda sonora.

Che connessione ci può essere tra fenomeni naturali che “vivono” nello spazio e in una dimensione tanto lontana dalla nostra e la musica come la intendiamo e conosciamo noi? In realtà, se non avessi sentito Elliot Sharp non mi sarei posta questa domanda.

Elliot Sharp è uno sperimentatore, padrone degli strumenti e virtuoso della chitarra.

52 anni e una copiosa produzione discografica. Lunghissima ed eterogenea. Diverse le esperienze musicali maturate e le contaminazioni cercate, desiderate e volute. Newyorchese d’adozione, è considerato uno dei protagonisti della scena musicale della Grande Mela degli ultimi quindici anni. Sono talmente tante le sue ricerche in ambiti diversi che è stimato da intenditori di generi senza apparente punto d’incontro, quali jazz, rock progressive anni ’70, folk, flamenco, musica classica ed altri ancora.

Due i suoi grandi pregi, ma possono essere anche gli unici suoi difetti: è una mente analitica ed un eclettico.

Ospite della rassegna “Linguaggi Jazz” al Piccolo Regio, Elliot Sharp ha presentato l’ultima sua fatica “The Velocity of Hue”, la velocità del grido, opera interamente strumentale. Vestito di nero, semplice, ciò che dominava la scena era una chitarra acustica, il solo strumento.

La sua musica non ha un vero inizio né una fine. Non esiste una sensazione di tempo che passa ma si percepisce un divenire. L’orecchio cattura suoni in qualche modo stranamente familiari e l’occhio rimane rapito dalle mani di Sharp che volano sulle corde. La padronanza nell’esecuzione, la complessità della stessa, l’impiego di strumenti per creare effetti sonori distorti o amplificati, le pause… potevan far quasi pensare che non ci fosse un “copione”, uno spartito, ma che il musicista stesse creando sul momento, seguendo un’ispirazione o un’idea.

L’impressione era di non assistere ad uno spettacolo ma di esser invitati ad entrare in un disegno intimo dell’autore. Brevi esposizioni cercavano di avvicinare le persone alla sua prospettiva.

Quello di Elliot Sharp non è uno spettacolo “facile” o di immediata comprensione.

Composto di due parti, queste erano assolutamente diverse. Al concerto acustico del primo tempo ha fatto seguito una esecuzione accompagnata da effetti speciali creati con l’ausilio del computer: i le note della chitarra venivano filtrate per assumere nuove tonalità. E’ stato un connubio di ricerca analitica di sonorità e costruzione di un’ambientazione dinamica, di un paesaggio che cambia.

Un pubblico non avvezzo a queste sonorità ha fatto fatica a seguirlo nel suo viaggio. L’ausilio di un oggetto tanto diffuso quanto sconosciuto come il PC ha scandalizzato una parte della platea.

Con “The Velocity of Hue”, Ellior Sharp ha portato il suo pubblico nel deserto, in sterminate praterie dove il vento spira e canta la sua melodia, alza polvere, si infrange contro massi rocciosi, solleva cactus ormai vecchi, ci ha avvicinato agli indiani ed ha cantato il silenzio.

Nel secondo tempo protagonista è stato lo spazio. Dominava la sensazione di vagare realmente nel modo stellato, di esser parte di esso. Gli uomini sulla Luna, Kubrik “2001: Odissea nello Spazio”… queste sono alcune delle immagini richiamate alla mente da quelle note che ricercano nella Natura la loro forma più intima e vera. I suoni amplificati e ripetuti ricordavano perturbazioni che scuotono i sistemi solari, meteoriti. Che Sharp abbia cercato di riprodurre anche il “Si bemolle” di Perseo A?

di Cinzia Modena