La vedova scalza

Agosto 28, 2006 in Libri da Stefano Mola

Titolo: La vedova scalza
Autore: Salvatore Niffoi
Casa editrice: Adelphi
Prezzo: € 15,00
Pagine: 182

La vedova scalzaChi è la vedova scalza, protagonista di questo romanzo con cui Salvatore Niffoi è finalista al Premio Campiello 2006? È Mintonia Savaccu. Sardegna, anzi, Barbagia. Primi anni del secolo appena concluso. 1915, per la precisione. La conosciamo nel momento in cui le portano il corpo del marito Micheddu, morto: spoiolato e smembrato a colpi di scure come un maiale. Potremmo pensare di trovarci sulla soglia di un romanzo giallo. Procedendo nella lettura scopriremo invece che il colore giusto per questa storia si chiama tragedia, senza dei che arrivino a sciogliere la tensione in una catarsi.

Il mondo in cui si muove Mintonia è arcaico. Per le donne non esiste orizzonte di scelta, men che meno di libertà. Possono essere soltanto mogli o puttane. Mintonia, nonostante provenga da una famiglia povera, ha la fortuna di incontrare un maestro che le istilla la passione per la lettura. Un timbro sulla sua selvaggia diversità. Un filo conduttore per l’intera sua esistenza, che travaserà anche nella scrittura. Quello che stiamo leggendo infatti è il suo memoriale, inviato dall’Argentina alla nipote rimasta in paese. Parole impastate di dialetto, perché come per tutte le lingue, ci sono cose per la traduzione è impossibile.

La vita di Mintonia si riassume nella sua più grande felicità, che è anche la sua sfida, e alla fine, la sua tragedia: l’amore per Micheddu, per quel ragazzo fiero e forte che finirà per doversi dare alla macchia. Quel ragazzo che saprà pronunciare parole dolcissime nel momento in cui faranno l’amore per la prima volta: spero che entrare in paradiso sia bello come lo è stato entrare dentro di te. Quel ragazzo che sarà anche l’uomo incapace di staccarsi fino in fondo dal cliché di machismo, fino a tradirla e a perdersi.

Il tutto sullo sfondo di una società marcata a fuoco da una religiosità opprimente e precettistica, dalle occhiate laterali e dalle maldicenze che dalla notte dei tempi segnano tutte le comunità chiuse, in cui dietro le porte dell’ufficialità ciò che conta è sempre e solo chi se la fa con chi.

Oltre alla figura orgogliosa e vitale di Mintonia, determinata fino alla vendetta finale, c’è un altro grande protagonista di questo romanzo intenso: la natura della Sardegna, descritta in tutta la sua aspra bellezza: colori, odori, profumi. Non un asettico dipinto: la natura viene vissuta, filtrata, negli occhi di Mintonia con un’intensità pari all’amore per Micheddu. Basti per tutte questa descrizione:

Morire senza vedere il mare è una cosa molto triste, perché uno si immagina il mondo come un’immensa crosta impestata di calcare e granito, con alberi, cespugli e case a condimento. Sopra il mare, invece, non ci cresce niente, tutto va e torna come le barche. La vita nel mare è tutta sotto, nascosta a chi non sa vedere oltre il visibile. Le persone che hanno visto il mare si riconoscono dagli occhi, perché ne conservano la meraviglia nello sguardo e spesso li tengono sbarrati anche nel sonno, quando il letto di crine o foglie di pannocchie diventa una placenta in cui nuotare, sognando quello che verrà dopo la morte. [pag. 85].

di Stefano Mola