La matita blu

Gennaio 14, 2006 in Medley da Redazione

Rubrica di opinioni editoriali a cura di FABIO LARCHER

1_Editor vs Artista

K.O. tecnico al quindicesimo round

È raro, anzi rarissimo che un testo pervenga a una casa editrice nella sua forma «definitiva». Nessuno è miglior giudice della propria opera e non deve scandalizzarci l’idea che mani estranee possano apportare cambiamenti anche cospicui al testo di un «Artista».

Forse il pregiudizio sull’intoccabilità dell’opera d’arte è ancora molto forte presso i profani (siano essi lettori o aspiranti scrittori); tuttavia si tratta solo di un pregiudizio.

Quando l’opera si accinge a diventare un prodotto commerciale (e a un certo punto del processo dovrà diventarlo per forza) il metro con cui deve essere esaminata muta radicalmente. Non basta più che essa sia (qualunque cosa significhi quest’espressione) «artisticamente riuscita», affascinante, profonda, ricca, originale, etc. Essa dovrà essere prima di tutto fruibile. E fruibile dal maggior numero di persone (paganti) possibile. Questo è il punto!

Alla vigilia della pubblicazione di un prodotto letterario l’aspetto della comunicazione diventa prioritario su ogni altro tipo di considerazione (artistica, filosofica, morale, etc).

Ora mi chiedo: chi si accollerà la responsabilità di travasare la pulsante acqua della poesia nel bicchiere più appropriato affinché essa venga bevuta con diletto dall’assetato pubblico pagante? Dopotutto siamo pur sempre figli di una determinata cultura; viviamo di pregiudizi e ci nutriamo di luoghi comuni come chiunque altro su quest’allegro pugno di fango azzurro. Anche se la cosa ci disturba, esistono limiti imposti a uno scrittore dalle abitudini «lettorie» del pubblico al quale lo scrittore dovrebbe rivolgersi. Dunque chi si farà carico di guidare, correggere e consigliare i nostri novelli Virgilio?

L’editor, ovviamente.

Figura professionale spesso fraintesa e assai controversa, l’editor è (nella sua accezione migliore) una guida, un consigliere criticamente preparato, fruttosamente dialettico… un lettore «intelligente» che ha ben chiaro cosa piace agli altri lettori (magari meno preparati e meno attenti, ma pur sempre fondamentali nel processo). Nella sua accezione migliore l’editor si offre a noi come un maestro di belle maniere, uno che sa quanto l’etichetta sia ben lungi dall’essere soltanto «forma», uno che ci può illustrare le esigenze altrui e ci insegna a rispettarle.

L’autore di un’opera ben difficilmente sarà in grado di auto-censurarsi. Uno scrittore vive nella totale incertezza sull’effettiva riuscita della propria costruzione artistica: a seconda dell’umore gli sembrerà di aver scritto una pagina perfetta… salvo poi trovarla illeggibile a un secondo approccio. Inoltre praticamente nessuno scrittore è in grado di cancellare un singolo passo della propria creazione del quale si sente particolarmente fiero, per il bene dell’opera nel suo complesso.

Ciò non significa che l’autore accetti sempre di buon grado l’intervento degli editor. Tutt’altro. Egli si sente (talvolta giustamente) geloso della propria creatura; teme che gli si tolga il merito di aver partorito qualcosa di «geniale», che rende (per riflesso) geniale anche lui.

Diciamo anzi che la norma prevede un alto grado di resistenza all’azione dell’editor da parte dell’autore. Vi sono numerosissimi esempi di acerrime lotte fra le due categorie in oggetto, nella storia dell’editoria.

Eppure TUTTI gli scrittori, prima di essere pubblicati, subiscono il giudizio e le indicazioni dell’editor. E guai se non fosse così!

Non voglio dire che le ragioni dell’editor siano sempre legittime o pertinenti. Un editor è fatto di carne ed ossa; vive le comuni distrazioni proprie a tutti i suoi simili (ansia, matrimoni burrascosi, malattie dei figli, debiti da pagare…) ed è del tutto ovvio che prima o poi l’emotività la spunti sul discernimento. Perfino l’antipatia personale nei confronti dell’autore potrebbe influenzare il buon lavoro dell’editor.

Questo non toglie che in linea teorica la prospettiva dell’editor resta comunque la migliore fra tutte le prospettive e che saggio sarebbe da parte di uno scrittore assoggettarsi ai consigli che essa gli impone.

Il consiglio dunque è: discutere dialetticamente sulle singole questioni, ma accettare a priori la prospettiva generale della casa editrice.

È impossibile entrare nel merito dei singoli casi. Vi sono eccezioni. Vi sono torti e ragioni in entrambi gli schieramenti.

Questo tuttavia non cambia la mia posizione. Non almeno in generale.

Mi dispiacerebbe se i lettori pensassero che io sia troppo idealista. L’editore (e gli editor che sono suoi emissari) non è un mostro a tre teste, dominato interamente da questioni economiche. Oh, lo è solo in parte! Naturalmente di fronte a un buon libro che venderà poco esso preferirà sempre un libro cattivo che gli frutterà un bel mucchio di quattrini. Ed è giusto che sia così. Ma il nocciolo è: quel libro “cattivo”, per “cattivo” che sia, sarà stato maneggiato pesantemente da un editor, sarà stato “arricchito” di una professionalità per lo più sconosciuta ai presunti libri buoni e (al di là delle nostre considerazioni di gusto) esso risulterà infine molto più leggibile e godibile di tanti libri “sinceri”, “originali”, “poetici”… vergati da artisti fieramente avversi all’editing.

E la differenza si sente, si… annusa!

Pensate solo a questo: siamo abituati a vituperare i best-sellers americani, a bollarli come libri inutili; tuttavia non riusciamo mai a disprezzarli fino in fondo. Vi siete mai chiesti perché? Io credo che la risposta sia: perché essi adempiono alla loro funzione; ci offrono una distrazione; e lo fanno utilizzando una serie di meccanismi ampiamente sperimentati nel corso di millenni di letteratura. Ammetterete che almeno nel caso di questi best-sellers l’arte dello scrittore ha meno peso di quella dell’editor, spero!

Ho citato un caso limite, ma l’ho fatto proprio per chiarire che non sempre la “ragione” sta solo dalla parte dell’artista. Nel mezzo c’è tutta una gamma di possibilità.

Per concludere con una provocazione: se gli scrittori si convincessero della necessità di professionalizzarsi, di imparare a porsi nel modo giusto nei confronti del pubblico, il lavoro degli editor si ridurrebbe a ben poca cosa… Magicamente essi tornerebbero dei semplici correttori di bozze. Purtroppo è nella natura dell’artista pensare se stesso come superiore ai comuni mortali, ed è per lui facile cadere nel tranello di scrivere i propri libri guardando il pubblico dall’alto in basso. I lettori (soprattutto se paganti) non amano essere disprezzati. I libri non costano poco e vi sono mille altre cose più interessanti da fare nel proprio tempo libero che farsi insultare da uno scrittore senz’arte né parte.

Mai come oggi (nel generale proliferare di scrittori che non leggono nulla) gli editor e i loro consigli sono stati necessari.

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http://www.larchereditore.com/

di Fabio Larcher