La felicità buddista in foto

Ottobre 24, 2001 in Arte da Claris

24998(1)Visitare i luoghi di culto buddisti regala sensazioni profondissime di calma interiore; rimanere suggestionati dal silenzio, dalla quiete, dalla genuinità dei riti sembra ineluttabile. Essere nel Laos, piuttosto che in Sri Lanka o in Tibet è indifferente: se già la natura rigogliosa e verdissima dei luoghi liturgici contribuisce a metterci in pace con noi stessi, ancor più si resta affascinati dai templi, dagli stupa, dai canti…

Trasmettere attraverso la fotografia queste intime e profonde sensazioni spirituali è opera difficile ed allora un enorme plauso non può non andare a Hans Georg Berger, fotografo e scrittore tedesco che per cinque anni ha documentato con incredibile passione i riti, le cerimonie e la vita monastica della città sacra di Luang Prabang, nel Laos.

Ora, un ampia raccolta delle sue opere è ospitata presso La Fornace, suggestivo spazio espositivo di Cambiano, in collaborazione con la Fondazione Italiana per la Fotografia nell’ambito di Border Stories, IX Biennale Internazionale di Fotografia.

Il titolo della mostra è tra i più estesi ci possano essere, ma esprime appieno l’immenso patrimonio di cultura e saggezza insito in queste civiltà orientali, guidate da millenni da una religione pacifista, senza fanatismi, mirata alla più proficua meditazione delle persone. Il proverbio laotiano “Het Bun Dai Bun” esprime il vantaggio dell’agire bene: chi diffonde il bene, il bello e il giusto lo riceverà in cambio a sua volta.

La mostra consiste in una parte delle fotografie realizzate a Luang Prabang da Berger dal 1994 al 1998. Le fotografie, in bianco e nero, sono raggruppate in sei temi: la meditazione; la consacrazione dei novizi; le feste dell’acqua; i manoscritti; l’ordinazione dei monaci; la festa dell’anno nuovo.

Luang Prabang, l’affascinante e antica capitale del Laos, “regno di un milione di elefanti e del parasole bianco”, ha mantenuto fino ad oggi i suoi riti secolari. Più di mille monaci e novizi vivono nei 90 conventi della città, sotto regole strettissime, in umiltà e povertà, celebrando con i laici le gioiose e complesse cerimonie del Buddismo Theravada, in grande vicinanza con altri culti: l’adorazione dei Naga, il Bramanesimo, diverse forme di Animismo.

Dopo la guerra del Vietnam e la rivoluzione del Pathet Lao, per vent’anni la città è stata difficilmente accessibile, finché il governo laotiano, a metà degli anni novanta, non ha deciso una cauta apertura del paese. I primi visitatori occidentali hanno scoperto con stupore e meraviglia una cultura urbana unica nel Sud-Est asiatico per bellezza, dignità e forza spirituale.

Proprio a questo periodo risale il soggiorno di Hans Georg Berger, attore, scrittore e regista, già direttore del Festival Teatrale Internazionale di Monaco, nonchè membro dell’Agence VU, prestigiosa agenzia di autori-fotografi di Parigi.

Tra il 1994 e il 1998 ha documentato le feste, le cerimonie e la vita monastica di Luang Prabang in un inusuale progetto fotografico che ha fortemente coinvolto gli abitanti della città. Ogni posizione della camera, quasi ogni immagine è stata sottoposta al giudizio delle persone che dovevano essere ritratte. Lo scopo comune del lavoro è stato non solo di documentare con precisione la ricchezza delle feste di Luang Prabang e di conservarle per i posteri, ma anche di incoraggiare quelli che fino ad oggi celebrano questi rituali. Seguendo l’insegnamento di Joseph Beuys, voleva costruire, con la gente di Luang Prabang, una “scultura sociale”, a partire dalla loro spiritualità e da un patrimonio culturale particolarissimo.

La mostra di Torino fa parte di un itinerario che vuole portare in Occidente il messaggio sulla ricchezza culturale e l’inconfondibilità della cultura del Laos che oggi è, laddove la ricchezza viene misurata con la rivelazione del prodotto interno lordo, uno dei paesi più poveri del mondo. Questo itinerario, iniziato con mostre organizzate da due musei di etnologia tedeschi (Berlino e Colonia), ha a Torino una tappa significativa.

Due righe sono dovute inoltre alla splendida cornice della sede espositiva: la Fornace Spazio Permanente (prezioso spazio per la cultura e l’arte, nonché laboratorio di progetti), con le sue colonne di mattoni e la polvere di argilla rossa che ricopre il terreno, ricrea un’atmosfera spirituale magica, utilizzando l’argilla e altri materiali per creare alcuni oggetti votivi della cultura laotiana quali gli Stupa di sabbia.

Nelle sei sezioni della mostra sono rappresentate tutte le tradizioni di un popolo tra i più ospitali della terra. Leggere tra le righe delle immagini senza una cultura specifica è senz’altro solo un primo passo per poter apprezzare una civiltà, quella del sud-est asiatico, assai più vicina alla natura di quanto ormai il mondo occidentale non sia. Inoltre, regala lo spunto e la passione per documentarsi su riti e tradizioni tipiche degli indigeni del Laos.

Ad iniziare dalle icone con gli abiti dei monaci: per il buddista del Laos, il monaco rappresenta l’immagine del Buddha e la personificazione delle leggi da lui formulate. Priorità dei monaci è l’allontanamento da tutti i legami con la vita materiale: per raggiungere la liberazione e la salvezza; rinunciano alla famiglia e al lavoro per dipendere unicamente dall’elemosina della popolazione laica. I precetti dell’ordine monastico limitano fermamente gli effetti personali del monaco a otto oggetti, tra cui l’abito. Esso consiste in tre pezzi di semplice stoffa: la veste, la tonaca, avvolta attorno al corpo come una toga; il samghati, generalmente piegato e appoggiato sopra la spalla sinistra. Gli abiti sono di color arancione, zafferano o marrone e la stoffa è cucita insieme, in modo elaborato, secondo la tradizione. I laici donano questi abiti ai monaci durante la loro ordinazione o all’annuale festa kathin, un atto di donazione che conferisce loro meriti speciali.

E poi la vita religiosa, dall’ordinazione di un novizio a quella dei monaci, la vita della comunità con le feste dell’acqua e della luce, le celebrazioni per l’anno nuovo, la meditazione, da sempre una pratica culturale più che un metodo puramente religioso, aperta a tutti. Ed ancora immagini dei preziosi manoscritti di Luang Prabang, su foglie di palma annerite con il carbone e incise

E poi le immagini degli enigmatici e perfetti stupa, per la tradizione buddista il sacro simbolo dell’Illuminazione, il parinirvana del Buddha. E in effetti la meraviglia che queste costruzioni infondono nell’osservatore è enorme per sacralità, fantasia, armonia.

E i visitatori della mostra sono caldamente invitati a costruire il loro stupa personale, come simbolo di liberazione e felicità, e testimonianza della loro visita alla mostra.

Het Bun Dai Bun

La Felicità Buddista, Sacre Cerimonie di Luang Prabang: Fotografie dal Laos di Hans Georg Berger

Periodo: 22 settembre – 4 novembre 2001

Orario: dal martedì alla domenica – 10.00/19.00

Luogo: La Fornace spazio permanente – via Camporelle, 50 – Cambiano – Torino

Ingresso: L. 8.000

Informazioni: tel. 011.944.14.39

di Claris