il/la Barbera?

Novembre 30, 2001 in Enogastronomia da Stefano Mola

Siamo stati al Salotto di Papillon Domenica scorsa, per partecipare incuriositi alla chiacchierata semiseria che Paolo Massobrio ha condotto partendo dall’indecisione su un articolo determinativo: il o la Barbera?

Cambiare una vocale e la sua posizione rispetto alla L, non è cosa da poco: vuol dire passare dal maschile al femminile. Fermarsi subito prima del punto interrogativo è quindi come essere di fronte a un bivio, scegliere tra opposte suggestioni, anche oscillare tra il dialetto e l’italiano (per chi è piemontese non ci sono dubbi: LA Barbera).

Ma non era solo teoria: i partecipanti hanno avuto di fronte due bicchieri, due vini diversi, due modi di trasformare il prodotto della vigna (dunque, possono esistere il e la barbera?). Paolo Massobrio ha subito proposto una distinzione: il Barbera è un vino più costruito, affinato in barrique, la Barbera invece un vino quasi scontroso, da aspettare, meno tannico.

Al tavolo insieme a Massobrio erano presenti l’artista Carlo Calosso, il conte Ricardo Riccardi di Santa Maria Mongrando, i giornalisti Tiziana Raspo e Mario Gatti. Ma al di là dei contributi di chi è stato appena citato, il pubblico, sollecitato a partecipare ha risposto subito e con passione.

I temi sono stati molti: l’affinamento in barrique è un modo per nascondere il vino o per esaltarne le qualità? Barricare è solo una tecnica come tante, e in quanto tale occorre saperla usare per quel che può dare, per la sua capacità di esaltare le qualità dell’uvaggio, oppure una moda, un tentativio di scimmiottare e compiacere con un nome un mercato internazionale? Perché tutto questo improvviso interesse per un vino che alcune decine di anni fa era sinonimo di vino ordinario, esclusivamente popolare, da osteria?

Chi scrive non è assolutamente un tecnico del vino, e al di là dell’apprezzamento da profano per i due vini (meglio comunque quello votato come LA Barbera, secondo la classificazione proposta prima), vuole sottolineare l’importanza dell’interrogarsi su un fare complesso quale è produrre vino. Un fare che coinvolge il territorio e dunque una storia, il rapporto necessariamente dinamico tra quanto è sempre stato fatto e quanto si fa, tra modernità e tradizione, tra la tentazione di cedere con facilità alle mode, e un’attività rigorosa, attenta, paziente, al tempo stesso non integralista, di chi dà tempo al vino di crescere, matenendone le proprietà distintive.

Dunque, qualcosa di molto simile al fare cultura con qualità. Perché fare cultura richiede tempo, significa prima di tutto avere il coraggio e la capacità di interrogarsi, partendo dalle proprie radici. Ci sembra questa la strada da percorrere per un paese così ricco di differenze e particolarità come l’Italia, differenze e particolarità da esaltare, senza perdere di vista il mondo, ma senza annacquare (che, parlando di vino, è peccato mortale).

(poi certo, al piano sotto, decine di produttori offrivano leccornie da tutta Italia a un pubblico numerosissimo: quando siamo usciti, fuori c’era la coda per entrare).

di Stefano Mola