Il cinema arabo

Gennaio 7, 2005 in il Traspiratore da Redazione

Numero 51-52I film sono documenti antropologici attraverso i quali il pubblico può osservare i modelli culturali di un popolo, le sue abitudini alimentari, lo stile delle case, l’arredamento delle medesime, la gestualità e l’abbigliamento, le feste, i riti, ecc. ecc. Ed è proprio grazie ai film di Hollywood che tutti noi oggi siamo a conoscenza dell’“American way of life”.

Purtroppo, nonostante il mondo arabo sia prepotentemente diventato di attualità, capita ancora di sentire dire: “Il cinema arabo? Ma esiste?” Ebbene sì, ha una sua storia, passata e presente, diversa da paese a paese, personalità di grande rilievo che partecipano in veste di autori o di giurati a manifestazioni cinematografiche internazionali, riconoscimenti a siffatte manifestazioni e soprattutto, in questi ultimi tempi, un pubblico sempre più attento .

Il primo paese arabo di cui si ha notizia della realizzazione di un lungometraggio è la Tunisia del 1924, col film Occhio di gazzella (‘Aynu al-ghazal), diretto dal critico e operatore Shammama Shikly. Il paese che però dà avvio ad un vero sviluppo dell’industria cinematografica è l’Egitto degli anni Venti, con un livello tranquillamente comparabile a quello di Hollywood. In ogni caso si può dire che la cinematografia araba nel suo complesso -con l’eccezione di quella egiziana appunto- inizi più tardi, con l’indipendenza dei singoli Stati dalla dominazione europea.

Proprio in Egitto troviamo la figura di spicco del cinema arabo d’autore: Youssef Chahine, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1926, Tanit d’oro nel 1970 per la carriera al Festival di Cartagine, Orso d’Argento nel 1978 e vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Berlino per il film “Alessandria, perché?” (Iskandariyya lih?). Nel 1996 la 49a edizione del Festival di Locarno gli dedica una grande retrospettiva e nel 1997 al Festival di Cannes riceve un riconoscimento alla carriera per il film “Il destino” (Al-masir). Questo film, distribuito con successo anche nelle sale italiane, racconta la storia del filosofo andaluso Averroè, vissuto nel dodicesimo secolo, la sua lotta alle minacce integraliste, il viaggio oltre le frontiere dei suoi libri e della sua conoscenza.

L’Egitto ha anche dato al mondo uno dei più famosi attori internazionali di tutti i tempi: Omar Sharif, anch’egli nato ad Alessandria d’Egitto e “scoperto” dallo stesso Chahine. Da attore egiziano di successo, è stato lanciato sugli schermi mondiali grazie al ruolo del “principe Ali” nel kolossal “Lawrence d’Arabia” (1962), che gli fruttò un Golden Globe Award e una nomination all’Oscar. Poco tempo dopo raggiunse il culmine della sua carriera con il ruolo di protagonista ne “Il dottor Zivago” trionfo internazionale del 1965. Una carriera, la sua, che conta decine e decine di apparizioni, le ultime dei quali a fianco di Antonio Banderas ne “Il tredicesimo guerriero” (1999), in “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” (2003) che gli è valso il Leone d’Oro alla Carriera al Festival di Venezia e in “Oceano di Fuoco – Hidalgo” (2004) a fianco di Viggo Mortensen.

Un’altra figura di spicco del cinema egiziano e dell’universo cinematografico femminile è stata Taheya Karioka (nella foto sopra), la più famosa danzatrice del ventre dell’Egitto su celluloide. Dopo essersi affermata nell’industria dello spettacolo, lavorò in numerosissimi musical, considerati tuttora capolavori tra le produzioni egiziane: più di 200 realizzazioni nel totale. Fondò anche un’azienda di produzione, la Youth film, assieme ad alcune colleghe e negli anni ‘60 declinò un offerta di lavoro in una produzione di Hollywood. D’altronde fu proprio l’industria cinematografica egiziana a trasformare numerose danzatrici in star leggendarie: in un attimo il costume a bikini della sensualissima danza iniziò a fare le sue apparizioni ad Hollywood e ancora oggi un film arabo non ha successo se non prevede nella trama una scena di danza del ventre.

Il destino del cinema egiziano è anche legato a Torino: nel 2001 un incendio nel magazzino del cinema Reposi, dove si svolgeva il Torino Film Festival, ha provocato la distruzione di 60 pellicole, di cui ben 30 erano film egiziani. Il danno complessivo, le spese per ristampare le copie e restituirle ai proprietari si aggirò intorno ai 300 milioni, dei quali l’assicurazione fornì soltanto la metà: per il resto, il Festival ha organizzato una specie di sottoscrizione cui hanno partecipato registi come Amelio e Martone, oltre a Telepiù ed alla Regione Piemonte.

Non si può parlare di cinema arabo però senza citare una delle più importanti manifestazioni su tale genere in Italia, ovvero CinemaMed, che propone una lettura della migliore produzione araba contemporanea ed una riflessione su alcuni momenti fondamentali della sua tradizione storica. Il progetto è finalizzato alla diffusione in Europa del cinema arabo-mediterraneo, sia come entità storica sia come realtà culturale contemporanea, in modo da facilitare, nel prossimo futuro, la circolazione nei Paesi UE delle pellicole più rappresentative provenienti dalla sponda meridionale del Mediterraneo.

A fianco della letteratura e delle arti, quindi, il cinema arabo si è sempre impegnato ad essere, se non uno specchio, almeno una lente della realtà dei paesi del Medio Oriente, dei ruoli di una cultura secolare che, recentemente, viene di frequente schematizzata in maniera approssimativa. Una lente da contrapporre sia alla visione, tutta Hollywoodiana, di dipingere l’arabo nel ruolo del terrorista fondamentalista o del soldato nemico, sia all’enfasi di quei commenti occidentali che troppo spesso hanno dipinto la rabbia e la tentazione integralista come forma di rivincita. Di questi tempi, è una necessità collettiva capire e raccontare scevri da ogni generalizzazione: il Cinema arabo è uno dei mezzi più importanti per farlo.

Il Traspiratore – Numero 51 – 52

di S. El Sebaie