Gianna Baltaro per Traspi.net

Febbraio 10, 2002 in Attualità da Sandra Origliasso

25372(3)Martedì 12 febbraio, alle ore 18.00, alla Biblioteca Civica “Francesco Cognasso” (Lucento), in corso Cincinnato 115, nell’ambito del ciclo “Incontro con l’autore: romanzi e saggi presentati dai loro autori in collaborazione con gli Editori Piemontesi Associati”, Gianna Baltaro presenta “Segreti di famiglia”.

Nel panorama degli scrittori torinesi, Baltaro occupa un posto di rilievo per quel che concerne la fiorente tradizione subalpina del romanzo giallo. Come molti scrittori della sua generazione incomincia a far carriera nel giornalismo, lavorando per varie riviste, fra cui l’ormai leggendaria “Gazzetta del Popolo”. La sua passione per il romanzo giallo deriva essenzialmente dall’esperienza, maturata negli anni, in fatti di cronaca nera.

Le sue avventure ispirate, per ammissione dell’autrice stessa, “solamente alla fantasia e alla dedizione assoluta ai miei personaggi”, sono collegate tra loro dalla figura del commissario Martini, che svolge a Torino, negli anni trenta, le proprie indagini. Tuttavia l’intreccio risulta un pretesto per presentare in ogni episodio, sotto più prospettive, gli usi e i costumi di un’epoca storica, arricchiti spesso da descrizioni molto precise ed essenziali.

All’interno della saga, che si compone di dodici libri, si ricordano: “Mentre scendeva il buio”, “Una certa sera d’inverno”, “Ore dieci: Porta nuova” e l’ultimo libro “Segreti di famiglia”, uscito nel dicembre del 2001 a cura di Angolo Manzoni editore, presso il quale tutti i libri dell’autrice sono pubblicati.

Abbiamo incontrato in anteprima la giallista torinese, che ci ha parlato della sua attività di scrittrice.

Nei suoi romanzi si ritrova un modo di narrare identificabile col genere del racconto poliziesco classico; tuttavia al loro interno trova largo spazio anche la descrizione storica e paesaggistica. Ci sono degli autori cui ritiene di ispirarsi?

No, per fortuna non sento il bisogno di fare riferimento ad alcun scrittore in particolare. L’esigenza di affidarmi alla mia fantasia è preponderante e ritengo che ognuno di noi, nel suo campo, abbia molte cose da comunicare senza dover per forza far riferimento agli ideali altrui.

Le letture servono a formare il carattere, ma quel che conta è il saper esprimere una visione personale della vita. Per esempio, rileggendo i miei libri ritrovo delle frasi che solo io avrei potuto scrivere, in determinati momenti della mia vita. Comunque c’è uno scrittore che ritengo di ammirare ed è Simenon, l’inventore del celebre commissario Maigret.

Naturalmente anche lei ha inventato una figura analoga, il personaggio di Martini, che agisce in un periodo particolare della storia italiana: gli anni trenta. Perché ha scelto di ambientare i suoi romanzi in questo decennio?

Prima di tutto ho scelto gli anni trenta perché a nessuno era mai venuto in mente di parlarne all’interno di un romanzo.

In secondo luogo per dimostrare che negli anni trenta non vigeva quel clima di paura che troppo spesso si ritrova descritto cupamente nei libri di storia. Mi preme evidenziare, quindi, che oggi come allora si conduceva una vita normale, si usciva di casa per andare al ristorante e al lavoro. Inoltre, limitatamente alla mia personale esperienza gli episodi sanguinosi non avvenivano in maggior numero rispetto ad oggi, erano pressoché simili.

Indipendentemente dalla politica, quindi, si faceva una vita abbastanza tranquilla… In particolare c’è una figura o un oggetto che considera come caratteristico di quel periodo?

Ricordo con molto piacere la figura della “servetta”, che era solita portare il colletto bianco e la crestina in testa. A quei tempi tutti coloro che erano impiegati in attività intellettuali potevano permettersi la donna di servizio, era un vero e proprio status symbol.

Nei suoi libri si nota, seppur in brevi cenni, una certa tendenza alla narrazione storica. Ha mai pensato di scrivere un romanzo storico?

Sinceramente sì, anche perché mi affascina molto l’aspetto della ricerca di documenti appartenuti al passato. In “segreti di famiglia” ha attirato particolarmente il mio interesse la leggenda del ponte del diavolo a Lanzo, una costruzione ben presente nella memoria dei torinesi. Naturalmente gli spazi dedicati alla digressione storica sono ridotti a poche righe, per non rischiare di appesantire troppo la narrazione.

Quindi lei dimostra, come si può intuire, un interesse abbastanza forte per i fatti del passato. Se dovesse scrivere un’opera storica in che epoca sceglierebbe di rappresentarla?

Essendo particolarmente affezionata alla mia città, sceglierei di ambientare il romanzo in un periodo particolare della storia sabauda: gli anni precedenti alla rivoluzione francese. Tuttavia preferirei tracciare il profilo di personaggi importanti ma poco noti che hanno vissuto in quell’epoca.

Quanto ha inciso la precedente esperienza giornalistica sul modo di scrivere?

Scrivendo sui giornali s’impara l’essenzialità dello stile e lo spirito che deve sottendere l’attività letteraria. La narrativa, infatti, deve essere prima di tutto finalizzata ad intrattenere e divertire il pubblico. Di conseguenza quello che scrivo deve essere espresso in un linguaggio semplice, in modo da potermi rivolgere al maggior numero di lettori possibile, anche a quelli che di solito non leggono. Il lato positivo del mio lavoro è rappresentato senz’altro dal sentirmi dire che un mio romanzo è stato d’aiuto a qualcuno.

Che consigli può dare a chi è intenzionato ad intraprendere la sua professione?

Credo che ognuno debba sviluppare un proprio stile personale, tuttavia è fondamentale tenere sempre presente che la maggioranza delle persone che leggeranno l’opera letteraria non sono critici d’arte o esperti di teoria letteraria, ma gente comune che desidera ritrovare all’interno delle situazioni vicine al proprio vissuto. Mi preme ancora una volta ribadire che la letteratura deve aiutare a crescere mentalmente il lettore ed è proprio questo che da sempre cerco di comunicare al mio pubblico.

di Sandra Origliasso