Dieci cose…

Luglio 8, 2003 in Libri da Stefano Mola

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Gianluca Morozzi, “Dieci cose che ho fatto ma che non posso credere di aver fatto, però le ho fatte”, Fernandel, pp. 157, Euro 12,00

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Gianluca Morozzi è uno scrittore bolognese. Questo è il suo terzo libro. Il più dichiaratamente giovanilista (così dice la quarta di copertina). Da questi elementi non è difficile dedurre che le dieci cose del titolo siano dieci episodi più o meno dichiaratamente autobiografici della sua vita. Ci sono anche le date, per esempio. Ora, il problema non è tanto essere sicuri che il protagonista sia effettivamente andato, con un amico detto il Geco, fino a Taranto in treno per seguire il Bologna in trasferta. Senza aver prima comprato il biglietto. E che dopo aver trovato lo stadio esaurito si sia rassegnato a guardare uno spicchio risibile di campo da sopra una collinetta spelacchiata, intuendo la partita per riverberazione sonora. Oppure che abbia ordinato per posta un set per lo sviluppo degli organi sessuali. O che abbia passato un San Valentino dai risvolti horror, o inviato lettere anonime al nuovo ragazzo della sua ex. Eccetera.

A questo punto della recensione resistiamo dal tirare fuori Javier Cercas e i suoi discorsi sul fatto che ogni narratore è inventato. L’abbiamo fatto già una volta, e speriamo prima o poi di disintossicarci. Se qualche ipotetico lettore conosce comunità che permettono di liberarsi dall’ossessione di Soldati di Salamina , lo preghiamo di mandarci l’indirizzo via e-mail. Grazie.

Il problema non è neanche chiedersi quanto sia veramente giovanilistico questo romanzo, e se questa etichetta possa eventualmente risultare più o meno penalizzante, oppure limitativa. Davanti a una operazione, come la lettura, che coinvolge il principio del piacere, il problema è rispondere alla domanda seguente: questo libro ci è piaciuto? Se la risposta è si, può essere interessante provare a spiegarne il perché. Se la risposta è no, posto che siamo arrivati alla fine del libro, forse si può cercare di diffidare l’altrui lettura. Qui la risposta è si. Prima di tutto, e questo non sia affatto limitativo, è un libro divertente. A tal proposito lo spartiacque per me è il seguente: riesce a farmi ridere tra me e me ad alta voce, anche sommessamente, in modo che chi mi sta vicino si chiede se è tutto normale? Questo libro si. Non prendetelo come una garanzia (ricordate sempre che ho l’ossessione per “Soldati di Salamina”).

Perché è un libro in cui il narratore è molto autoironico. Il fatto di raccontare episodi dell’adolescenza, periodo che per le ultime generazioni compresa la mia che proprio ultima non è (1966, n.d.r.) si protrae sempre più pericolosamente nel tempo, aiuta. Una cosa bella che ci regalano i libri è l’effetto specchio. Leggere qualcosa e poter dire: è così. Anch’io, quella volta là, la situazione non era proprio la stessa, però era così. Ci aiuta a sorridere di noi stessi. È anche una operazione difficile, perché può scattare l’autocompiacimento, così come la ragnatela della nostalgia patetica è sempre dietro l’angolo. Mi sembra che Morozzi riesca abbastanza a fuggire entrambi.

Per esempio, se prendiamo un libro a caso di quelli scritti a Bologna che parlano di cosa succede quando si è adolescenti, che ne so, “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Enrico Brizzi, la cosa è leggermente diversa. Brizzi si prende più sul serio, costruisce almeno in parte un sottofondo volutamente poetico e leggermente mitico, da cosa incredibilmente e irrepetibilmente unica (tutte le esperienza sono uniche). Insomma, si intuisce una potenziale deriva superomistica e devastante. Quella che sarebbe poi sbocciata nell’insostenibile “Bastogne”. Intendiamoci, “Jack Frusciante” mi è piaciuto molto. Però non ho ancora digerito il fatto di aver comprato “Bastogne” nella corso della mia vita.

Morozzi non si limita però a fare una raccolta di episodi buffi o tragicomici. Ci sono due fili conduttori. Uno è Bussolari Zelda: “Che a pensarci bene, ogni volta che ho incontrato Bussolari Zelda poi ho fatto una cazzata. O l’avevo appena fatta. O la stavo facendo” [pag. 7]. La compagna delle medie bruttissima che poi si evolve un quasi farfalla. Gli incontri con Zelda sono quindi gli snodi chiave nella ricostruzione della giovinezza. Una cosa come Claudia Pandolfi in Ovosodo, per dire. Anche se alla fine il suo ruolo nell’economia della narrazione è diverso. Per esempio, il narratore non sposa Zelda. E poi ci sono due episodi in cui Zelda non c’è (si potrebbe cire che uno si dà delle regole anche per poi trasgredirle). Il montaggio non è poi lineare nel tempo. La sequenza cronologica non viene rispettata, il che permette un gioco di echi e rimandi.

L’altro filo conduttore è la felice invenzione del personaggio del fan assoluto. Raul. L’ammiratore incondizionato e pazzo che a poco a poco si trasforma in persecutore del narratore scrittore. Interviene in brevi e divertenti intermezzi tra un episodio e l’altro. Altro elemento che aggiunge mattoni alla dimensione autoironica. Anche se la tentazione di parlare di se come scrittori mentre si scrive sembra un’altra tendenza bolognese. Pensiamo al serial di Paolo Nori (i cui primi libri mi sono piaciuti anch’essi molto). Però.

In conclusione, di “Dieci cose” eccetera io consiglio la lettura. Nel senso che mi fa venir voglia di leggere i primi due (che sono “Despero” e “Luglio, agosto, settembre nero”) e di aspettare per vedere dove andrà Morozzi in futuro.

di Stefano Mola