Dal Perù a Torino

Giugno 6, 2002 in il Traspiratore da Stefania Martini

31062E’ stata presentata nelle scorse settimane, a Palazzo Civico, una ricerca sull’immigrazione femminile peruviana a Torino, promossa dal Movimento laici America Latina.

Il Mlal è un’organizzazione non governativa, impegnata da 36 anni in progetti di cooperazione allo sviluppo in America Latina e Africa, e per questo motivo profonda conoscitrice dei problemi, delle esigenze e delle aspettative della gente peruviana.

“Dalle Ande al Po” è il titolo della ricerca, svolta grazie anche al contributo del Comune di Torino e della Compagnia San Paolo, in collaborazione con il Gruppo Abele, Magistratura Democratica, Acli, Coop O.R.So, Avventura Urbana, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione e Centro di Formazione Piemontese.

Lo scopo dell’indagine è stato quello di costituire una base conoscitiva per avviare la sperimentazione di una gestione dei flussi migratori, nel rispetto dei diritti e della dignità umana. Uno studio come strumento di ulteriore conoscenza nell’ambito della cooperazione internazionale: il coinvolgimento della comunità peruviana rappresenta in questo senso quel bagaglio in più nel cammino dell’integrazione, dello scambio culturale e dell’intervento pubblico.

Dalla ricerca emerge che i fattori alla base del movimento migratorio peruviano sono determinati sostanzialmente dalle condizioni socio-economiche della società peruviana. Le scarse possibilità lavorative offerte da un Paese insufficientemente industrializzato come il Perù, legate alla consapevolezza di non poter sperare in un miglioramento delle proprie condizioni esistenziali, hanno portato la popolazione peruviana, ed in particolare le donne, ad una massiccia migrazione diretta verso i Paesi più industrializzati.

L’Italia è diventata uno dei punti di riferimento, in Europa, per gli emigranti provenienti dall’America Latina.

Gran parte delle intervistate proviene dalle maggiori città peruviane (Lima, Cusco, Nazca), anche se molte vivevano nelle zone rurali attigue.

In realtà, la maggior parte delle donne peruviane erano occupate anche nel loro paese di origine in varie attività lavorative: il 40,6% svolgeva un’attività impiegatizia.

Dice Amelia: “In Perù il lavoro si trova, ma è pagato troppo poco. Lo stipendio medio mensile basta solo per mangiare, non per pagare l’affitto o comprare dei vestiti”.

Un secondo dato importante è la forte sottoutilizzazione del sapere delle immigrate: poiché la maggior parte di loro ha conseguito, nel proprio Paese, una laurea (21,9%) o comunque detiene un livello di istruzione medio-alto (65,6%), risulta abbastanza scontato che la collocazione lavorativa che vengono ad occupare in Italia, dove per lo più svolgono attività di assistenza ad anziani e disabili o di collaborazione domestica, rappresenta un notevole abbassamento di status.

A questo proposito, ecco la testimonianza di Bellina, 28 anni, che assiste, al mattino, una persona ammalata del morbo di Alzheimer e il pomeriggio va a scuola, per prendere la licenza media: “I miei studi universitari in Perù non sono riconosciuti dalle autorità scolastiche italiane, che mi costringono a ricominciare da zero. La scuola peruviana insegna meglio di quella italiana la matematica, le scienze e anche la storia. Non penso di tornare in Perù, vorrei rimanere qui e studiare, per avere un titolo di studio riconosciuto in Italia”.

Tuttavia, in termini quantitativi, la condizione economica delle immigrate ne esce rafforzata e notevolmente migliorata rispetto a quella che caratterizzava la loro vita precedente l’emigrazione: spesso questo ingenera in loro una sorta di conflitto interiore, tra il senso di amarezza per l’abbassamento del livello di autostima connesso al peggioramento di status, e il senso di responsabilità, unito al desiderio profondo di poter garantire alle loro famiglie una vita dignitosa, che le spinge invece a considerare i lati positivi della loro nuova esistenza.

A proposito di immigrazione, una recente ricerca [febbraio 2002] pubblicata dall’Eurispes ha evidenziato che, dei 18.324 iscritti all’Inps di provenienza sud-americana, ben 11.847 arrivano dal Perù (si tratta del 64,7%).

Le donne peruviane, da sole, costituiscono il 55,2% di tutti gli immigrati dal Sud America.

Per quanto riguarda l’età delle donne immigrate dal Perù, si riscontra che il 18,7% ha un’età inferiore ai 25 anni, mentre quelle di un decennio più grandi sono il 65,6%.

Se si analizza da quanto tempo le donne immigrate dal Perù si trovano in Italia, il 28,1% dichiara di essere in Italia da meno di un anno, mentre ben il 40,7% da due anni. Con oltre tre anni, cioè il periodo che per diversi motivi può definirsi di avvio del processo di parziale stabilizzazione, si calcola il 12,4% delle peruviane.

Inoltre, il 71,1% delle peruviane dichiara di essere in Italia con il proprio partner; il 23,7% ha invece relazioni con parenti di primo grado e solo il 2,6% ha detto di vivere sola, anche se molto forte risulta il legame con la comunità.

Per approfondire l’argomento segnaliamo il libro di Cristina Morini “La serva serve – Le nuove forzate del lavoro domestico” (http://www.deriveapprodi.org/copertine-lib/laservaserve.jpg), in cui vengono raccolte varie testimonianze di donne straniere, spesso clandestine, che svolgono lavori umili in un ambiente familiare. Spesso sono laureate, hanno viaggiato, parlano varie lingue. Vengono catapultate nelle grandi città italiane, non per questo meno provinciali, diventando ostaggio delle famiglie per cui lavorano.

Il Traspiratore – Numero 36

di S. Martini