Centomila gavette di ghiaccio | Sudate Carte Curiosità III edizione

Aprile 10, 2005 in Sudate Carte da Stefania Martini

Titolo: Centomila gavette di ghiaccio
Autore: Giulio Badeschi
Casa editrice: Mursia Scuola
Prezzo: € 9.70
Pagine: 292

Il vedere l’immutabile bianco distendersi a perdita d’occhio, sempre uguale nonostante l’affannoso procedere, dava ai soldati la sensazione d’essere naufragati in uno sterminato mare di ghiaccio dal quale era illusorio pensare di uscire. La speranza non aleggiava più sulle schiere, aveva raccolto l’ali e camminava anch’essa a piedi scalzi fra i soldati, scarmigliata

e ansante, scansando cadaveri stecchiti sulla neve.

100000 gavette_1Il libro costituisce uno dei capolavori della letteratura di guerra di ogni Paese: premio Bancarella nel 1964, rievoca la ritirata dalla Russia dell’esercito italiano, nella quale centomila soldati italiani perirono in combattimento o stremati dalla fame e dal freddo.

Giulio Badeschi, vicentino, sottotenente medico nelle campagne di Grecia e di Russia, che videro coinvolti centinaia di migliaia di giovani soldati italiani durante la Seconda Guerra Mondiale, è stato testimone diretto delle drammatiche vicende della Divisione Julia, la divisione degli alpini incaricata di arrestare l’avanzata dell’esercito russo sulle rive del Don.

In Centomila gavette di ghiaccio Italo Serri, sotto il cui nome si cela l’autore, narra i momenti drammatici di quel “viaggio necessario” vissuto da tanti giovani soldati, in particolare gli eroi della ventisei.

Dopo l’arrivo nell’assolata e desolata steppa ucraina nell’estate del 1942, gli alpini della Julia intrapresero una lunga marcia convinti di dover raggiungere le montagne del Caucaso, terreno a loro congeniale.

Improvvisamente l’ordine cambiò e furono destinati alla pianura, verso le rive sconosciute ed infide del Don: all’inizio di ottobre si attestarono sulle prime linee del fronte, viso a viso con il nemico russo, schierato dalla parte opposta del fiume.

Dopo un lavoro frenetico per la costruzione di trincee e gallerie sotterranee per poter sopportare il terribile inverno russo già pericolosamente alle porte, un gruppo di circa 200 uomini, la ventisei agli ordini del capitano Reitani, viene spostato verso un altro fronte: è l’inizio della ritirata, di quello che sarà il lungo calvario di duecentoventimilamila uomini circa, delle Divisioni alpine Julia, Tridentina, Cuneese, e quelle di artiglieria Vicenza, Cosseria, Ravenna, Pasubio, Torino.

Le vicende degli alpini nelle battaglie invernali sul Don, i combattimenti durante il ripiegamento per aprirsi un varco nelle sacche sulla neve di Russia nell’inverno 1942-1943 attinsero tali vertici e somme di patimenti da sfiorare l’indescrivibile; raggiunsero senz’altro, e spesso varcarono, i limiti estremi della capacità di sopportazione umana, oltre quali s’affaccia quasi a sollievo, la morte.

100000 gavette_2Tra il dicembre del ’42 e i primi di febbraio del ’43, gli alpini camminano per giorni interi, senza sosta, per circa 300 chilometri: costretti a procedere lentamente, arrancano nella neve vergine della steppa, in mezzo alle tormente e al vento gelido che non dà tregua, ad una temperatura esterna che varia dai –38°C ai –44°C, per evitare le imboscate delle truppe nemiche appostate nei paesi vicini.

I piedi inciampavano l’uno contro l’altro perché avevano perduto sensibilità, pezzi di ghiaccio ormai, sospinti innanzi dalla disperazione.

Senza cibo, senza rifornimenti militari, vestiti e calzati in maniera inadeguata, le file di uomini, seguiti da feriti e ammalati, costretti ad essere trasportati su slittini trainati dai muli, continuano giorno dopo giorno il loro tragico viaggio, trovando solo nel profondo del loro cuore la forza e la speranza di trarsi in salvo vincendo i nemici più temibili dell’uomo: il freddo e la fame.

Presso la porta di una stalla, nella neve calpestata. Serri riuscì alfine a scovare un bariletto manomesso e schiantato contenente nel fondo, fra pezzi di ghiaccio e di neve indurita, un tritume rossastro: ebbe un tuffo al cuore, si sfilò un guanto e staccò una manciata di quell’impasto l’osservò con ansia e s’avvide che il barile conteneva residui di crauti conservati. La massa era già stata rimestata di recente, Serri si chiese perché i soldati in precedenza non se ne fossero appropriati; osservandola con più cura s’avvide che quel tritume era zeppo di vermi bianchi raggrinziti o uccisi dal gelo; l’estate li aveva fatti nascere e l’inverno li aveva conservati assieme ai crauti andati a male.

– Ho fame… muoio di fame… – pensò tentando di vincere la ripugnanza che la verminaia gli suscitava, ma una nausea inconcepibile gli montò alla gola. Cercò di separare i crauti dai vermi, ma questi erano tanti e così fittamente inglobati nella massa che l’operazione era impossibile.

– Devo tornare a casa… – pensò; e vincendo lo schifo diede un morso al cibo immondo.

Era gelido, insapore, ma cedeva alla pressione dei denti, e diveniva una pasta molle, nel caldo della bocca: si, era cibo. L’inghiotti.

La Storia riassume freddamente così gli avvenimenti di quei tragici mesi: il 15 dicembre, con un potenziale d’urto sei volte superiore al nostro, i russi dilagano nelle retrovie accerchiando le divisioni italiane. Inizia la terribile ritirata su un terreno ormai completamente controllato del nemico. Cinquantacinquemila sono gli italiani caduti o fatti prigionieri. Ogni chilometro conquistato costa centinaia di vittime. Il 26 gennaio una parte della Tridentina e piccoli reparti di altre Divisioni, riusciranno a sfondare l’ultimo sbarramento russo a Nikolajewka (piccola località russa tra Voronez e Stalingrado), mentre la Cuneense, la Julia e la Vicenza saranno distrutte a Valuiki. In questa fase altri 40mila uomini resteranno sul terreno. Il bilancio è terribile: alla fine all’appello mancano circa 100mila uomini.

di Stefania Martini