Alla dogana dell’aeroporto

Febbraio 12, 2001 in Racconti da Redazione

Le brasiliane hanno i culi più belli del mondo: è un dato di fatto, indiscutibile e stabile. La sfericità che ricorda la pancia di un mandolino, la linea morbida e precisa dei fianchi, il colore nero della passione sono inebrianti alla vista e al tatto. Delle brasiliane Giorginia aveva il culo più bello. La conobbi ad un bar di San Paolo, in uno degli innumerevoli quartieri poveri della città. Allora lavoravo per un’agenzia d’informazione, una specie di Ansa: ero inviato in Brasile per via di uno spaccio di droga internazionale, un caso che m’aveva portato a caccia di notizie in quasi tutto il sud America. Alcuni informatori m’avevano avvisato della venuta in San Paolo di Pedro, il boss più ricercato della mala colombiana.

Da alcuni giorni avevo preso alloggio in una camera dell’albergo attiguo alla villa dello spacciatore, nel tentativo di scattare qualche foto importante. Alla fine di una delle tante giornate sconclusionate (Pedro e i suoi scagnozzi erano molto accorti nei loro spostamenti), decisi di farmi una bevuta al Cafè Blue, un bar poco lontano dai campi d’allenamento della squadra di calcio locale. Era frequentato da pezzenti perdigiorno che non avevano di meglio da fare che stare a commentare i culi delle ragazze ondulanti lungo i marciapiedi.

“Una birra, per favore”. Domandai con gentilezza ad un ciccione sudato intento a sfogliare una rivista pornografica. Lasciai i soldi sul bancone e mi sedetti ad un tavolo appartato, vicino all’entrata dei cessi. Stavo sorseggiando pensieroso dalla caraffa, quando una splendida ragazza si siede di fronte a me, chiedendomi collo sguardo di accenderle la sigaretta. Era nera come nere difficilmente ne avevo viste. Quasi non distinguevo i lineamenti del viso, offuscati per altro dall’ombra dell’attaccapanni dietro alla mia sedia.

Mi fissò a lungo negli occhi, aspirando nervosamente la nicotina della sigaretta, e sembrava nervosa di essersi messa in una tale imbarazzante situazione. Io sostenni il suo sguardo con audacia insolita, fino a costringerla ad alzarsi, lasciandomi come un allocco. A pensarci adesso, mi sembra che non mi dispiacque troppo che la ragazza m’avesse lasciato solo a meditare sui miei guai: avevo in bocca il sapore eccitante delle occasioni mancate per mia volontà, le occasioni che se avessi voluto avrei potuto cogliere. Ma non avevo voluto, e mi stava bene così.

Uscito dal locale affrettai i passi, infreddolito dal forte vento che s’era alzato d’improvviso. Entrato nella camera d’albergo trovai una busta sul tavolo; l’aprii e ne tirai fuori un rullino fotografico e una lettera. “Fai di queste foto l’uso che ritieni migliore, sono tue. T’avverto di stare molto attento: non ti sarà facile lasciare il paese senza venire perquisito e difficilmente delle foto passano la frontiera senza prima essere sviluppate. Ti consiglio di nasconderlo molto bene. Buona fortuna, un amico”. Non sapevo se essere contento o incassato per la novità. Se da un lato queste foto avrebbero potuto aiutarmi di molto nella mia carriera giornalistica, dall’altro rischiavo di venire ammazzato per un articolo.

Decisi di dormirci su, e per farlo nella maniera più rilassata, fumai un po’ dell’erba che mi ero procurato a Rio. La mattina mi svegliai con negli occhi l’immagine della ragazza che il giorno prima mi aveva scrutato con tanta passione al Cafè Blue, e venni folgorato da un idea che avrebbe potuto risolvere il mio problema. Tornai a quel bar malfamato e mal frequentato spiando i volti delle poche ragazze avventrici dell’ambiente. Alla fine la vidi, seduta al tavolo vicino ai cessi: mi sedetti di fronte a lei e le chiesi collo sguardo di accendermi la sigaretta.

“Mi chiamo Jim” – “Io Giorginia.”

“Bevi qualcosa?” – “Birra e rum.”

Il ciccione portò l’ordinazione con un sorriso porco sulle labbra: lui sapeva come andavano a finire certe cose, le aveva viste succedere un sacco di volte. Tutto ciò lo trasmetteva con uno sguardo dritto nei miei occhi; l’ombra dell’attaccapanni sembrava intimorita da quella figura lercia e possente. Portai Giorginia nella mia stanza d’albergo e la ragazza fu mia dopo pochi attimi di corteggiamento. Restammo distesi sul letto troppo piccolo per due, cercando di non sfiorarci coi glutei: gli sguardi e i pensieri spinti in direzioni opposte.

“Ti devo chiedere un favore.” – “Lo so: da un po’ aspetto che parli.”

Non mi sorprese che sapesse già le mie intenzioni. “Devo portare fuori un rullino piuttosto compromettente.” – “Dammelo, ci penso io.”

Il giorno dopo ci ritrovammo all’aeroporto di San Paolo, partenze internazionali. “Mi raccomando, al check in mostrati più rilassata e disinvolta che puoi.” – “Non ti preoccupare: ho una certa esperienza.”

Due poliziotti mi fermarono e accompagnarono in uno stanzino. Lì mi venne chiesto di spogliarmi di tutti gli abiti che indossavo, e uno dei tre si mise un guanto alla mano destra e mi ficcò l’indice dritto su per il culo. “Può andare, grazie.” Giorgina era passata indenne; per fortuna, a lei, non fecero la perquisizione anale.

di Gianluca Ventura