Una notte movimentata

Luglio 5, 2002 in il Traspiratore da Redazione

31311Solitamente quando si è in vacanza, si ha meno interesse per la televisione, ammesso che se ne abbia durante l’anno; per me che già di solito guardo due cose in croce, durante le ferie proprio mi dimentico di che cosa sia. Viaggiando soprattutto all’estero, per circa un mese non ricevo più nessuna notizia del mondo, rimango a parte della storia. Quella volta, invece, nella storia ci finii in mezzo.

Partimmo da Atene col treno della notte per Salonicco, dove avremmo dovuto cambiare per Uzuncopru, per poi cambiare ancora, ma facciamo una piccola digressione…

Solo sapere l’orario del treno fu già una piccola impresa. L’ufficio informazioni ci aveva rimandato ad un’altra area della stazione. In questa il tizio dello sportello ci indicò lo sportello accanto e lo sportellista accanto di nuovo il tizio di prima, che dovendo ammettere d’essere lui il depositario dell’informazione che volevamo, ma non volendo fare lo sforzo di parlare, ci disse che l’orario era scritto sul muro. Noi andammo a guardare, per poi ritornare da lui e dirgli: “è scritto solo con caratteri greci”. A quel punto, avendole ormai tentate tutte, dovette darci l’informazione.

Sul treno, un ragazzo greco, che masticava fin troppo a sufficienza l’italiano, tentò in tutti i modi di farci cantare qualche bella canzone per lui. Comunque quella nottata passò, ed anche il ragazzo greco, pulitore di carene.

Ad Uzuncopru pagammo il visto, che a seconda della nazionalità di origine ha un costo differente (per esempio i greci pagano una schioppettata, per essere coerenti nella loro antipatia reciproca con i vicini turchi).

Dopo un’ora buona arrivò dal nulla il treno diretto ad Istanbul. Noi turisti venimmo radunati tutti in uno scompartimento e separati dai turchi. Non ne capii il motivo, forse per semplicità o per controllarci meglio; in questo modo comunque ci salvarono dalla moltitudine di bambini presente negli altri vagoni, ma non dalle pulci, che allegramente saltavano nel nostro.

Con il passare delle ore le stazioni divennero solo pura entità: immerse nella notte non sembrava che ci potesse essere un paese in prossimità. Proprio così: dietro c’era solo il nulla; talvolta, infatti, il treno si fermava accanto alla vota oscurità, la gente scendeva e si incamminava lungo sentieri ignoti.

In una di quelle stazioni immerse nel buio accanto al nulla, il treno si ruppe.

“Si è rotto!”. Il capotreno ed il controllore si assettarono su una pietra senza dare chiarimenti, ma io le mie spiegazioni, tra gesti e un inglese smozzicato, riuscii ad ottenerle. Il motore della locomotiva si era fuso e bisognava aspettare che quella sostitutiva arrivasse da Istanbul. Noi avevamo perso il sorriso, le pulci no!

Tre ore dovemmo aspettare, sgranocchiando le scatolette di tonno che costringo sempre Walter a portare, perché non si sa mai…

Finalmente, all’una della notte, apparve la stazione di Istanbul, esattamente 26 ore dopo la partenza!

Credete che l’avventura sia solo questa? Ed infatti, non è così!

Stremati, supplicammo un tassista di portarci all’ostello, ma lui, indicandoci la strada, ci rispose che era vicino e che avremmo potuto andarci a piedi. Ci incamminammo, per poi accorgerci che ci stava seguendo in macchina, per suggerirci meglio la strada. Grazie!!!

All’ostello, la nostra prenotazione per una camera doppia non risultava; infatti non era sufficiente una telefonata, occorreva spedire anche un fax. Ma dirlo prima? Comunque erano rimasti giusto due posti nel dormitorio misto.

Le brande erano quelle in alto di due letti a castello. Nel dormitorio saremmo stati una ventina +1; sì, perché nel letto sotto quello di Walter dormivano insieme un ragazzo ed una ragazza.

Alle due finalmente mi addormentai, ma alle tre il ragazzo accanto a me mi svegliò chiedendomi: “what happens?”. Guardai fuori dalla finestra, vidi una luce che andava e veniva, e, ricordandomi che eravamo vicini alla stazione, gli dissi che era un treno che passava davanti ad un lampione. Lui fece in tempo a borbottare “ah, yes”, prima di ributtarsi a dormire, ma io… Ma io, dopo aver guardato meglio la finestra, guardai la parete gialla, che come un elastico si stava allungando ed accorciando: “azz…, il terremoto!”.

Il mio primo istinto fu quello di scappare, ma subito mi chiesi: “e Walter?”. Decisi di dargli un colpo per svegliarlo e poi fuggire: se capiva bene se no… Appena il tempo di fare quei pensieri ed il terremoto era finito. Il ragazzo dell’ostello entrò nella stanza e mi disse che era tutto a posto. Gli diedi fiducia e mi sono rimisi giù, pensando che dopo un terremoto non ce n’è un altro, semmai solo qualche scossa di assestamento.

L’indomani niente luce e niente acqua. Per di più, dal bagno Walter mi urlò: “qui non c’è la tazza?”. Ed io: “sarà un bagno alla turca!”.

“Sì, ma non c’è neanche il buco!”

“Ma come non c’è neanche il buco, fa’ vedere!. Walter, ma questo non è un bagno, è una doccia! Hai cercato di fare pipì in una doccia!”

Quella notte, durante il terremoto del ’99, solo io e l’inglese ci svegliammo. Walter dice di aver sentito il letto muoversi, ma di aver pensato che i due sotto di lui stessero facendo… ehm…

Solitamente durante i miei/nostri viaggi all’estero imparo sempre qualche nuova parola inglese, quella notte imparai “earthquake”.

Il Traspiratore – Numero 37-38

di L. Pugno