Un salto nel passato con i Chicago Stompers

Luglio 1, 2010 in Musica da Claris

Chicago StompersFino a qualche anno fa il festival di Ascona era l’emblema del jazz classico: le eccezioni ammesse alla regola erano veramente rare e concesse solo a grandi nomi. Oggi, come ha sottolineato il direttore artistico Nicolas Gilliet, l’atmosfera è un po’ cambiata, tanto che quest’anno il titolo della rassegna è JazzAscona New Standard. Ma il jazz d’altri tempi, quello più tradizionale, continua ad essere presente e ad appassionare gli “aficionados”, che si entusiasmano per le performance degli ‘italianissimi’ Chicago Stompers. La band, nata nel 2002 da un’idea di Dario Lavizzari e Davide Mazzoleni, conta oggi ben undici elementi: Celeste Castelnuovo (vocals), Ida Di Vita (violin, vocal), Corrado Tosetti (trumpet, cornet), Paolo Colombo (clarinet, soprano sax, guitar, vocal), Veronica Santagostino Baldi (tenor sax, clarinet, vocal), Giovanni Libonati (alto sax, clarinet, vocal), Giorgio Gallina (trombone, violin, ukulele, vocal), Mauro Porro (piano, clarinet, alto/c-melody/soprano/tenor/bass sax, cornet, valve trombone, vocal, arrangements & transcriptions), Dario Lavizzari (banjo, guitar, washboard, piano, vocal), Paolo Vanzulli (tuba, string bass, drums, vocal), Alessandro Rossi (drums, percussions, celesta). Il loro punto di forza, oltre alla giovanissima età, è la perfetta ricostruzione delle orchestre statunitensi operanti tra il 1924 e il 1931: strumenti riscoperti, come il rarissimo “bock-a-de-bock cymbals”, e costumi d’epoca scovati nei mercatini di antiquariato riportano lo spettatore agli albori del jazz.

Chi sono i Chicago Stomper?

Prima di tutto sono un gruppo di amici che hanno come passione comune il jazz tradizionale, quello, per intenderci, dei primi decenni del secolo scorso. E che hanno voglia di diffondere questo tipo di musica un po’ dimenticata, di farla conoscere alle nuove generazioni con degli show brillanti, divertenti, briosi, ricco di sketch!

Mi sembra che la riscoperta delle atmosfere degli anni ’20 e ’30 non si limiti al solo aspetto musicale…

Esatto, una prerogativa esclusiva del nostro gruppo è di ricreare sul palco il contesto delle esibizioni di un secolo fa. Ci vestiamo quindi come gli artisti di una volta col tuxedo e suoniamo strumenti vintage originali (quasi tutti comprati su e-bay), utilizziamo i microfoni d’epoca e presentiamo le canzoni in maniera volutamente pomposa! Insomma ripristiniamo un quadro musicale e filologico a tutto tondo…

Siete molto meticolosi anche nel riprodurre i suoni d’epoca cui v’ispirate.

Vero, grande parte del nostro lavoro, sia singolo sia di gruppo, consiste nell’ascoltare più e più volte le registrazioni d’epoca per imparare a suonare questo genere nella migliore maniera. Questo è un aspetto fondamentale della nostra preparazione in quanto alcune tecniche di suono nel secolo scorso erano piuttosto differenti.

Oltre allo studio individuale, facciamo delle sessioni ogni settimana per verificare l’affiatamento dell’orchestra e provare gli arrangiamenti originali, sempre sotto l’orecchio attento di Mauro, che è il nostro leader artistico.

Siete in undici, come una squadra di calcio. Quali sono i vostri mondiali?

Sicuramente l’invito a partecipare al festival di Ascona è un importante riconoscimento per il lavoro svolto, così come le ovazioni ricevute al festival di jazz classico inglese di Whitley Bay. Quest’anno poi abbiamo raccolto prestigiosi segni di apprezzamento anche al festival olandese di Breda. Naturalmente non manchiamo di partecipare a varie manifestazioni italiane, come Rimini, o alle tante feste private cui siamo invitati. Complessivamente presentare idee musicali ‘antiche’ con le nostre facce giovani è un connubio che intriga molto.

Quali le tappe più importanti della tua formazione artistica?

Per la maggior parte di noi, la musica rappresenta la prima scelta di vita. Ad esempio, io mi sto specializzando in percussioni classiche al conservatorio e intendo perseguire la professione di musicista e batterista jazz, sia per quanto riguarda il jazz tradizionale con i Chicago Stompers, sia quello moderno con gli MLT (Marco Longo trio), con cui ho appena fatto un CD.

Il tuo idolo?

Non ne ho, però ci sono parecchi batteristi che considero dei modelli cui ispirarmi. In primis i grandi del passato, come Warren “Baby” Dodds e “Big” Sid Catlett. Tra i contemporanei, cito Brian Blade e Eric Harland, dei quali sono andato a sentire parecchi concerti. Per il mio sviluppo artistico reputo però fondamentali il maestro di conservatorio Andrea Dulbecco, Stefano Bagnoli e Gio Rossi, che tra l’altro accompagna Laura Fedele quest’anno ad Ascona.

Chi hai apprezzato di più in queste sere asconesi?

La serata dedicata alla batteria, sabato scorso, con Powell e Riley, è stato il massimo per me. Shannon e Herlin hanno dato uno splendido esempio del jazz tradizionale di New Orleans, quello fatto di musica e discorsi, di marching band e batteria. La loro spontaneità e naturalezza nel suonare e divertire il pubblico è stata fantastica.

Quale prospettive ha il jazz in Italia?

E’ difficile che il jazz diventi una musica conosciuta ed apprezzata dal grande pubblico per due motivi. Intanto, a volte, non è di immediata comprensione, e intendo soprattutto il jazz moderno più che quello divertente che facciamo noi. Infatti, il jazz in genere è un genere musicale più per intenditori, o per lo meno per persone che hanno delle nozioni tecniche e che non vengono solo trascinate dal gusto personale.

Poi resta lo scoglio durissimo della televisione. Se non ci sono abbastanza passaggi televisivi, sembra che automaticamente si sia considerati di serie B, come succede per la musica classica e tanti altri aspetti della cultura. Se non passi sui media, in TV, su MTV o nei TG non sarai mai famoso: è un vincolo o peggio un batterio.

di Claudio Arissone