Un Risorgimento di …vino

Febbraio 27, 2011 in Enogastronomia da Redazione

BaroloChe Giulia Falletti Colbert, marchesa di Barolo, per prima abbia fatto assaggiare il Barolo, il prezioso vino prodotto nelle vigne di famiglia, a Carlo Alberto di Savoia-Carignano, allora re di Piemonte e Sardegna, è ormai un fatto risaputo, specialmente in questo clima di vigilia ante celebrazioni.

Ma come saranno andate davvero le cose? Proviamo a immaginare…

Torino, Palazzo Reale, poteva essere un giorno qualsiasi forse del 1845…

“Marchesa, si dice un gran bene del vostro vino. Come mai Noi non abbiamo ancora avuto il piacere dell’assaggio?” Il re si era avvicinato alla marchesa Giulia di Barolo durante un incontro a corte (una festa? un ballo? l’omaggio settimanale dei nobili?).

“Maestà, sono davvero mortificata e al tempo stesso lusingata!- la marchesa Giulia si era brevemente inchinata al passaggio del sovrano- Non avrei mai immaginato il Vostro interesse e quindi non avrei mai osato…”

“Osate, osate pure, cara Marchesa, apprezzeremo molto”. Con un cenno del capo e un sorriso, il re si era allontanato per rivolgere la sua attenzione a un altro ospite.

E fu così che Giulia Falletti Colbert, marchesa di Barolo, decise di inviare a corte non una sola botte, ma ben trecentoventicinque botti di vino Barolo: una per ogni giorno dell’anno, con l’ovvia esclusione dei quaranta giorni della Quaresima, che a quei tempi veniva rigorosamente rispettata.

E fin qui, la storia.

Ma riflettiamo un momento sulle possibili conseguenze del suo gesto.

A quel tempo, alla corte dei Savoia, come più o meno in tutte le case della nobiltà non solo sabauda, si beveva vino importato soprattutto dalla Francia, ritenuto migliore del disprezzato, e in molti casi forse davvero disprezzabile, vino locale.

I marchesi di Barolo, con il consiglio del conte di Cavour e l’intervento di un esperto enologo francese amico di famiglia, il conte Oudart, avevano deciso di cambiare le cose. Erano intervenuti seriamente nelle loro vigne, risanando e migliorando terreni, cantine, attività agricole. Il vino che ne era scaturito si poteva davvero definire “nuovo” rispetto al suo stesso passato e degno di una diversa considerazione. Nella corte di Torino si cominciò quindi a bere Barolo tutti i giorni e, di conseguenza, a pensare che se quel vino, così buono, era frutto di un cambiamento avvenuto nel loro stesso territorio, voleva dire che cambiare qualcosa, in meglio, era possibile e forse, chissà, non solo nei vigneti…

E così, dopo qualche anno, siamo diventati tutti Italiani magari anche grazie al contributo del Barolo delle Langhe piemontesi!

di Silvana Delfuoco