TraspiGrinzane

Aprile 6, 2003 in Libri da Stefano Mola

Ahmadou Kourouma, “Allah non è mica obbligato”, edizioni e/o, pp. 207, Euro 15,00

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“Quando uno non ha padre, madre, fratello, sorella, zia, zio, quando uno non ha più un bel niente, la cosa migliore è diventare bambino soldato. I bambini-soldato vanno bene per quelli che non ci hanno più niente da fare sulla terra e nel cielo di Allah.” [pag. 109].

Raccontare l’orrore è ancora possibile? Quale tono e quale registro scegliere? Le immagini dell’orrore, della sofferenza, del dolore e della fame spesso ci raggiungono incastonate tra una sfilata di moda e una dichiarazione di Mastella. Sono appiattite per appaiamento. Del resto, c’è efficacia nelle convention funeree, nei cori da tragedia greca nerovestiti? È ancora possibile raggiungere veramente qualcuno? È ancora possibile raggiungere qualcuno da molto lontano?

Lo spazio è al tempo stesso qualcosa di vago e di concreto. Forse non è più sufficiente misurarlo in chilometri, o in un qualsiasi multiplo o sottomultiplo. New York può essere molto più vicina di Cuneo, per esempio. Sarebbe bene moltiplicare la distanza espressa nella debita unità di misura per un peso che tenga conto di quella spirituale e mediatica, nonché dei mezzi di trasporto che abbiamo per raggiungere fisicamente il luogo in questione. Forse, se provassimo a disegnare la cartina del mondo secondo questi accorgimenti, l’Africa sarebbe un puntino lontanissimo e non qualcosa di enorme che inizia a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste.

Questo romanzo prova a metterci tra le mani un pezzo d’Africa. Non fatto di animali liberi e selvaggi e stupendi paesaggi, oppure percorso da cacciatori hemingwaiani, o abitato da romantici piloti attesi romanticamente da scrittrici danesi. È il pezzo d’Africa che anche nel puntino lontanissimo sta nella parte più remota. Racconta la storia recente di paesi come Liberia e Sierra Leone, dove è stata sfondata una delle ultime frontiere, quella dell’innocenza dei bambini. Che, come dice la frase citata all’inizio, diventano soldati (e tra i più sanguinari) nella lotta tra le fazioni.

Adesso immaginerete di trovarvi tra le mani un masso pesantissimo, grondante di sangue e miseria (il problema del registro e del tono, ricordate?). Invece no. Lo scrittore ivoriano Ahmadou Kourouma ci presenta la storia attraverso gli occhi di Birahima, che racconta in prima persona. Orfano di padre e di madre, cerca di raggiungere una fantomatica zia (che è però sempre da un’altra parte) al seguito del truffatore e stregone Yacuba. Così facendo attraversa la ferita aperta della guerra e vi si immerge fino al collo, mantenendo uno sguardo intatto e ribelle da Giamburrasca.

Il punto di vista del bambino produce un potente e feroce effetto di straniamento, grazie al cozzo tra una irriverente freschezza lessicale, ironicamente rafforzata dalla continua spiegazione delle parole che usa a beneficio dei “negri neri africani indigeni” (citando con precisione altrettanto ironica le fonti scelte tra i suoi quattro dizionari) e la cruda realtà di una violenza insensata su una realtà senza speranza, nella ricerca cieca di potere e denaro, tra la complicità interessata dei paesi vicini e l’inefficace intervento umanitario delle organizzazioni internazionali.

di Stefano Mola