Traspi365

Aprile 16, 2003 in Libri da Stefano Mola

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David Means, “Episodi incendiari assortiti”, minimum fax, pp. 163, Euro 11,5

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Questo libro è una raccolta di racconti. Di che tipo? Diciamo subito che non abbiamo a che fare con quei congegni a orologeria che sul finale sputano fuori un pupazzo a molla, dando così a sorpresa un senso a una scatola di latta che altrimenti resterebbe dimenticata e priva di senso in un angolo. Per capire, guardate bene la copertina. Ci sono dei binari. Uno scorre parallelo al bordo inferiore del libro. L’altro arriva da un po’ più in basso, fa una leggera curva e poi inizia a scorrere parallelo al primo. Girate il libro, guardate anche la quarta di copertina e vi accorgerete che continuano insieme.

Molte di queste storie sono così. Succede per esempio che personaggi lontanissimi vengano avvicinati dai casi della vita, e riescano a produrre quasi inconsapevolmente dei mutamenti gli uni nelle vicende degli altri. Come nel racconto “Tahorah”, dove un individuo sgradevole che giace in un letto d’ospedale, sentendosi disturbato dalle preghiere funebri di una famiglia ebrea che piange un lutto nelle stanze accanto, irrompe in corridoio per comunicare senza censure la sua rabbia. Il ricordo di questo episodio, drammaticamente comico, provocherà un sorriso in uno dei due fratelli della famiglia ebrea. Una di quelle contrazioni del viso che non dovrebbero avere spazio, ma che non si possono trattenere. Proprio il riconoscimento di questo tipo di espressione da parte dell’altro fratello, che ha subito la perdita, darà origine al primo possibile inizio di scioglimento del suo lutto.

Sono situazioni che evocano, più che concludere. Descrizioni di snodi, o potenziali punti di svolta (binari che vengono da posti diversi e poi continuano insieme, appunto). Che cercano di portare alla luce almeno per un attimo quanto sta dietro alle cose e ai gesti, alla fatica di vivere in un mondo problematico di cui è spesso difficile ricostruire un senso. E siccome una delle cose con cui è più difficile venire a capo è la morte, non è casuale che ritorni in ogni racconto del libro. Spesso i personaggi cercano, nella lotta quieta con le piccole cose del quotidiano, di fare i conti con le perdite che nel corso del tempo hanno subito. Così i binari che si accostano e poi vanno via insieme non sempre sono esterni, possono arrivare anche da dentro. Come per il personaggio di “Coito”, che mentre fa l’amore con la sua amante ricorda ancora una volta e inizia forse a pacificare dentro di sé la perdita del fratello.

Abbiamo visto due motivi per cui i binari della copertina ci spiegano questo libro: spaziale (personaggi che convergono in un luogo) e temporale (elementi del passato che riemergono). Ce n’è ancora un terzo: binari proprio in quanto binari. Non solo perché molte delle storie hanno a che fare con la ferrovia: prendiamo per esempio “Incidente ferroviario, agosto 1995” dove proprio seguendo la strada ferrata uno dei personaggi va incontro alla sua fine, oppure la notte del barbone aggrappato a un vagone in “Presa”. Ma anche nel senso più generale di elementi del paesaggio. Suoni, rumori, odori, alberi, strade si intrecciano strettamente e concretamente al flusso dei pensieri (esemplare da questo punto di vista la presenza del mondo esterno sempre in “Coito”).

L’incrocio di personaggi diversi e l’emergere non risolto del passato fanno che si che ad un punto di vista strutturale questi racconti siano estremamente interessanti. Spesso il punto di vista passa da un personaggio all’altro (bellissimo e meritevole di analisi più approfondita da parte di chi volesse interrogarsi su come si può e cosa significa mettersi a costruire una storia oggi “L’interruzione”), oppure ci sono finali che poi si scoprono soltanto immaginati (notevole per esempio “I travagli della vedova”).

Insomma, un autore da tener presente e che varrà la pensa di seguire in futuro. Per intanto, oltre a leggere “Episodi incendiari assortiti”, potete farvi un’idea di cosa pensa in due lunghe e molto interessanti interviste che potete trovare in rete:

La prima , in inglese, la seconda in italiano, a cura di Martina Testa.

di Stefano Mola