The grudge

Gennaio 30, 2005 in Cinema da Barbara Novarese

Titolo: The grudge
Regia: Takashi Shimizu
Con: Michelle Gellar, Bill Pullman, Jason Behr, Clea DuVall, William Mapother
Girato: U.S.A. – Giappone 2004

The grudgeIl buio cala nella sala.

Le voci si trasformano in sussurri.

Lo schermo si incendia di immagini.

I sussurri sfumano nel silenzio.

Patatine e pop-corn restano l’unico legame con la realtà…

Il film inizia.

Risate, inquietudine, spavento, magia, intrigo, morte, miracoli… sensazioni affini e allo stesso tempo diverse si intrecciano nella mente dello spettatore per sfociare in un intricato labirinto di reazioni; se i sensi saranno soddisfatti, la pellicola avrà successo, altrimenti sarà dimenticata o, nei casi più fortunati, verrà ricordata ma: come “l’ennesimo flop”.

Immagini, storia o attori? Perchè scegliamo di vedere un film piuttosto che un altro?

Sono aumentati i racconti storici e le avventure di personaggi irreali sospesi tra realtà e immaginario che si combinano con un forte senso introspettivo.

I cartoni animati, a cui dovrebbero sostituire il nome con un termine più consono poichè prodotti da software d’avanguardia, tentano di dare messaggi di alta moralità. Mostriciattoli colorati si rivolgono con saggezza ad un pubblico adulto mentre lasciano ai bimbi l’ingenuo, ma autentico, divertimento tramite giochi di colori, suoni e movimenti.

La fantascienza si è trasformata in scienza con tracce di follia, gli horror sono scesi agli ultimi posti delle top ten.

Ci siamo abituati alle immagini feroci dei Tg che ostentano rabbia e violenza; accendiamo la televisione per aggiornarci sulle ultime novità dal mondo e la realtà pare più terrificante dei nostri peggiori incubi.

La morte in diretta, ripresa e trasmessa da alcuni real show di cattivo gusto, ha reso i nostri occhi avvezzi a scene di indubbia atrocità.

Dunque, i registi si accaniscono nella disperata ricerca di quel soggetto che ancora riesca a creare suspance o suscitare paura tuttavia il risultato è sempre più utopico.

Spaventare gli spettatori sta diventando un’impresa troppo ardua anche per produttori e registri famosi tanto che Sam Raimi ha deciso di riproporre il successo giapponese “Ju-On: The Grudge”… senza neppure modificare il cast e il regista (Takashi Shimizu).

Forse non esiste più nulla di inesplorato?

L’aggressività, la furia, il male sono compagni di vita abituali; non esiste più niente in grado di ripetere il successo dei primi film di vampiri che inorridivano il pubblico semplicemente mostrando la “dentatura”.

“Se è riuscito la prima volta”, avrà pensato Sam, “dovrebbe riuscire anche la seconda!”; così, sulla scia del successo asiatico ottenuto dalla riedizione di “the Ring”, nasce “the Grudge”

Ju On è la maledizione di una persona che muore in preda ad una collera furiosa. La rabbia si accumula e si scatena nei luoghi in cui quella persona è vissuta ed è morta. Tutti coloro che la incontrano muoiono e una nuova maledizione prende vita.

La storia è semplice, quasi banale.

Una ragazza, il suo fidanzato, una grande metropoli in un paese straniero.

Lei è Sarah Michelle Gellar, la sola e originale acchiappa-vampiri, perfettamente a suo agio nei ruoli inquietanti… forse anche troppo: se lei non dà l’impressione di essere spaventata, figuriamoci noi.

I due piccioncini si trovano in Giappone poichè lui ha accettato un trasferimento e lei ha preferito non rischiare di lasciarselo sfuggire. Karen è studente universitaria e accetta di rimpiazzare un’infermiera che non si è presentata al lavoro. Quando entra nell’abitazione, trova un anziana signora americana, Emma (Grace Zabriskie), sola ed in stato catatonico. Il resto della casa è deserto, sporco e disordinato.

Mentre si prende cura dell’anziana, Karen sente dei rumori provenire dal piano superiore.

Che brivido: lei sale le scale… non ci posso credere, ma quanto è scema! Nessuno aveva più fatto una cosa tanto stupida in un film dell’horror, negli ultimi vent’anni!!!

Poi, entra in una stanza e cosa vede? un armadio…chi l’avrebbe mai detto: un armadio in camera da letto!

Che cosa ci sarà nell’armadio? Abiti?

Siamo a casa di una signora malata ed il nostro compito è quello di aiutarla ma noi preferiamo girovagare per la casa alla ricerca di rumori e armadi. Beh, mentre siamo lì potremmo anche fare un giretto in cantina o, meglio ancora, in soffitta. Comunque sia, non ci passa nemmeno per la mente di sederci in giardino… troppo normale, vero Karen?

Gli articoli dicono: “…il film…esplora l’aspetto apparentemente normale di una modesta casa di Tokyo che cela al suo interno una forza malefica capace di distruggere chiunque vi penetri”.

Un brivido mi scende lungo la schiena. A voi no?

In un’intervista, pare, il regista ha detto: “Sam ha parlato con grande entusiasmo e specificità di alcune particolari scene presenti in Ju-On. Mi ha detto che voleva che la versione americana possedesse quegli effetti che non ero stato in grado di produrre a causa del budget limitato. Così ho cominciato a trovare la cosa interessante, mi sono reso conto che avrei avuto la libertà creativa di esplorare degli aspetti della storia che non avevo potuto esplorare in precedenza e che avrei avuto la possibilità di spingermi oltre. Non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione.”

Hai fatto bene ma… dove stanno gli effetti speciali e le parti della storia che sono rimaste inesplorate la prima volta?

Non si tratta di un film “vedi e non vedi” come “il sesto senso” o di un film tutto sangue e grida come “la casa”.

Qualcuno ha detto che il concetto di spavento per un giapponese è diversa da quella di un americano o di un europeo ma: una cosa è lo spavento, un’altra è vedere un fantasma che perde i capelli!

La parte riuscita meglio è la divisione in capitoli, cronologicamente sfasati, che ricostruiscono gli eventi accaduti attorno alla casa.

Non ci sono colpi di scena. Lo spettatore è preparato all’arrivo del “mostro-fantasma” almeno tre scene prima. Un paio di telefonate con rantolii simili al ringhio di un cane e persone scomparse… letteralmente.

L’atmosfera di disagio pare più rivolta alla difficoltà dei protagonisti americani nell’integrarsi con la vita nipponica (totalmente diversa dalla loro) più che per la maledizione della casa. Il silenzio musicale regna sovrano… forse l’unico aspetto singolare del fim.

L’ambientazione esprime perfettamente le caratteristiche di Tokio ma come potrebbe essere diversamente dal momento che il regista e la maggior parte degli attori sono Giapponesi?

In un certo senso, si trat
ta di un film da non perdere… quasi come “The blair witch project”.

Voi, l’avete visto?

di Barbara Novarese