Storia di un uomo che conobbe se stesso

Agosto 10, 2001 in il Traspiratore da Redazione

L’anno è il 1896. Immaginate un ragazzo indiano di diciassette anni di nome Venkataraman, di casta bramina e, come normale conseguenza, appartenente alla classe media. Uno come tanti, se non fosse che un bel giorno, con un’esperienza eccezionale, giunge all’Illuminazione, approdando al vero Sé, alla viva quanto liberatoria coscienza del vero Ātman o Spirito Immortale.

A questo punto qualcuno potrebbe forse pensare: “Pare proprio il caso d’un tipico Santone indiano, o giù di lì”. In effetti ciò sarebbe perfettamente naturale quanto logico e risponderebbe all’incirca alla verità. Tuttavia, leggendo il libro “Ramana Maharshi e la via della conoscenza” di Arthur Osborne (Edizioni Vidyananda), ci si trova pian piano trasportati al cospetto d’una figura senza dubbio grandiosa, correttamente designabile come vero Sad Guru; insomma, un essere simile agli antichi Rishi, o Veggenti della remota India, autori dei testi Vedici. Tutto ciò, naturalmente, senza tanti fronzoli o reminiscenze più o meno folcloristiche.

Dopo aver realizzato l’unione definitiva con il Sé, denominata Sahaja Nirvikalpa Samadhi, paragonabile al Nirvana della religione buddista, Venkataraman, chiamato in seguito Sri Ramana Maharshi, per alcuni mesi conduce una vita apparentemente normale, con la differenza che ciò che prima lo infastidiva, non ha quasi più la benché minima importanza. Cibo buono o cattivo, lodi o insulti, fatica o riposo… tutti questi opposti non causano in lui altrettanto contrastanti sentimenti, dal momento che la vera Pace è ormai raggiunta. A questo proposito alcuni sostengono che questa facilità di conseguimento sia dovuta alle fatiche compiute in vite precedenti.

Un giorno, però, Venkataraman è sorpreso dal fratello mentre si trova seduto sul letto, in stato di meditazione profonda e con i libri di studio buttati in giro a casaccio. Visto ciò, il suddetto parente lo rimprovera e gli consiglia, nell’ipotesi voglia proprio continuare a fare “lo yogi”, di ritirarsi a meditare nella foresta e di smetterla di vivere una vita comoda, usufruendo dei beni che si possono trovare alla luce del focolare domestico.

Colui che verrà definito “il Maharshi” accetta il ragionamento del fratello e decide di andarsene senza preavviso. Coincidenze a dir poco provvidenziali gli permettono di raggiungere il luogo verso cui prova da tempo un’irresistibile attrazione, la montagna sacra di Arunachala, situata nell’India del Sud nei pressi di Tiruvannamalai e considerata dimora di Shiva.

Non si mosse più da lì e, nel corso degli anni, alcuni suoi devoti edificarono un ashram, ossia un luogo di culto intorno alla sua figura, dove tutti, indipendentemente dalla religione professata, dall’età, dal sesso, dalla provenienza e dalla posizione sociale, potessero avvicinarlo e beneficiare del suo darshan, ossia visione o presenza.

Il libro in questione non è soltanto una biografia di questo grande saggio dell’India moderna, peraltro ricca di aneddoti veramente interessanti e significativi, ma anche e soprattutto una raccolta dei suoi principali insegnamenti, spesso riportati in forma di dialoghi, dei quali il più importante è l’autoindagine o vichara, che consiste nel porsi la fondamentale domanda “Chi sono io?”, cercando di raggiungere il massimo livello possibile di concentrazione, escludendo quindi tutti gli oggetti sensoriali ed i pensieri disturbanti.

Quando si affrontano simili tematiche è legittimo porsi il seguente interrogativo: “Siamo veramente in presenza di un autentico Maestro?”. Innanzitutto – ciò risulta da numerose testimonianze – la grande pace che spontaneamente pervase chi si trovò, anche per poco tempo, in presenza del Maharshi è senza dubbio un ottimo indizio di veridicità, senza contare la quantità di animali, anche pericolosi, che il saggio avvicinava incessantemente e senza alcun timore. Inoltre è da considerare con la massima attenzione il seguente fatto: alla sua morte, avvenuta nel 1950, gli unici beni terreni che lasciò furono un bastone da passeggio ed una ciotola per l’acqua.

Il Traspiratore – Numero 31-32

di E. Specchio