Senza Titolo, la Giordano al Gobetti

Maggio 19, 2003 in Spettacoli da Redazione

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L’8 e il 9 maggio al Teatro Gobetti Raffaella Giordano ha presentato, all’interno della stagione teatrale dell’associazione Viartisti, Senza Titolo. Dopo il bellissimo Per una stanza e Quore, la danzatrice torinese, allieva di Carolyn Carlson e Pyna Bausch, presenta per la prima volta a Torino, questo suo nuovo lavoro per 8 interpreti. Al fianco della Giordano (che ha curato il progetto e la scrittura coreografica) ci sono infatti in questo spettacolo Piera Principe, Doriana Crema, Clelia Moretti, Aldo Rendina, Elena De Renzio, Enrico Tedde e Giulio De Leo. L’ideazione Luci è di Vincent Longuemare, le composizioni e il disegno del suono sono di Lorenzo Brusci, i fondali di Stefano Ricci. A luci accese in sala la scena è già visibile nella semioscurità, si lascia guardare in attesa di una non-storia (annunciata dal foglio di sala): è solo corpo, solo luce e immagine, costruzione drammatica/drammaturgia, visione, flash, apparizione, violenza psico/acustica/visiva. Ritmo tra luce e sonoro in un intreccio di carne e oggetti (assi di legno trascinati dagli attori, microfoni, sedie, ecc…) in cui il corpo prende l’incedere del respiro, sessuato/asessuato, invertito.

E’ una centrale di enucleazioni di movimento nella possibilità estrema del contatto con lo spazio. Il corpo extra-esteso che definisce nuove linee e scenografie, precisioni e livellamenti da proporre e riproporre come un pasto freddo in cucine gelide. Tecnologie vive che definiscono la loro assenza con una presenza persistente: radio, registrazioni, microfoni, proiezioni, fanno irruzione manovrati senza dissimulazione, consolidando i cadaveri che producono con violenza. Non si racconta nulla, ma tutto è visione condita di citazioni artistiche da De Chirico a Moreau, da Kantor ai Magazzini Criminali e a tutta l’estetica dei gruppi anni ’80. Soluzioni pittoriche d’evocazione e surrealismo, passando da un lirismo esasperato alla dinamica dei talk-show televisivi, alla discoteca, al set cinematografico attraverso cambi di scena immediata d’azione collettiva.

Un dialogo tra la rappresentazione e la sua visione in presenza, dove la parola più bruciante è ASSENZA. Corpi che snodano ritmi di opposizioni scenotecniche componendo spazi e labirinti, vie d’uscita, sbarramenti, trasportando, come fossero parte integrante di sé, lunghe assi di legno o praticabili che mutano lo spazio e lo riattivano come dispositivi scenografici. Peccato che alcune voci (urlate, sospirate, soffiate) non abbiano la stessa incisività dei movimenti corporei e risultino stentate e incolte, deboli in contrasto con la precisione e l’incisività delle geometrie fisiche. La Giordano ci presenta nuovamente un lavoro perfetto, pulito, studiato maniacalmente in ogni sua parte, in cui il corpo-protagonista si esprime nella sua infinità possibilità, grazie anche alla rinuncia di raccontare per mostrare il pensiero, il cuore, l’intelletto, l’emozione della materia corpo.

di Alan Vai