…per egoismo

Febbraio 15, 2002 in il Traspiratore da Sandra Origliasso

25434Talvolta, inaspettatamente, capita di incontrare qualcuno che ci tocca così intimamente da mettere in discussione le nostre convinzioni più radicate, permettendoci in questo modo di scoprire un lato sconosciuto di noi stessi. Un incontro non è un caso e lascia spesso un’impronta indimenticabile: lo sa bene Paule Marshall (in foto), autrice del libro “Anima batti le mani e canta” (AIEP editore). L’autrice, non estranea nelle sue opere al tema del disagio femminile e maschile, è nata a Brooklyn, ma ha origini africane e tra i suoi modelli troviamo P. L. Dunbar, il poeta che meglio degli altri è riuscito a fotografare il disagio della gente di colore nell’America degli anni ’20. Disagio che, come donna nera in una società bianca, la Marshall ha vissuto davvero, condividendolo nella poesia di Zora N. Hurston, Dorothy West e Gwendolyn Brook. Invece, per quanto riguarda la letteratura inglese, i suoi punti di riferimento sono Charles Dickens e W. B. Yeats.

Il libro prende forma proprio da alcuni versi di Yeats, che recitano “Un vecchio è ben misera cosa,/ un mantello lacero su un bastone, a meno che/ l’anima non batta le mani e canti”. I personaggi che si muovono all’interno delle quattro storie sono uomini vecchi e segnati dalla solitudine, che nell’incontro con una donna ritrovano se stessi ma, nel momento stesso in cui cercano di afferrare la propria essenza, la perdono, scivolando sempre di più verso quell’abisso che è la morte.

Niente, infatti, ha mai avuto importanza per il signor Watford e Max Bernan protagonisti di “Barbados” e “Brooklyn”. Il primo è un uomo privo di generosità che nell’incontro con una donna capisce d’essere incapace di amare. Il secondo è, invece, un professore ebreo che nel molestare una studentessa rivela finalmente a se stesso il suo egoismo.

La ricerca di un’identità è, infine, il tema che accomuna gli ultimi due racconti, “Guyana Britannica” e “Brasile”, dove il meticcio Gerald Motley e l’intrattenitore Calibano Heitor sono alla ricerca di quell’individualità ormai persa tra le molteplici che si sono cuciti addosso. Così come Gerald non perdonerà mai Sibyl per avergli negato la visione di se stesso nella foresta, allo stesso modo Heitor non lascerà impunita la donna che, portandolo al successo, lo ha trasformato in un fenomeno da baraccone, conferendogli una falsa identità che resterà per sempre legata all’appellativo di “O grande Calibano”.

E’ importante segnalare anche l’aspetto quasi orale della narrazione, dove la parola ha il potere di coinvolgere l’ascoltatore/lettore, proprio come avviene in certa poesia americana. Questa risulta cosa rara in uno scrittore contemporaneo, di norma preoccupato di conquistare una larga fetta di pubblico, piuttosto che di mostrare la sua vera o presunta arte. Ci sorprende piacevolmente scoprire che oggi esistano ancora scrittori capaci di coniugare le capacità stilistiche e formali con la creazione di una buona storia.

Il Traspiratore – Numero 34

di S. Origliasso