Nyi Rije – Domare il demone

Marzo 2, 2009 in Medley da Gabriella Grea

Nyi Rije – Domare il demone –Domare e identificare il demone posseduto da ciascuno di noi è un processo che assicurerà la forza e la buona salute: attraverso una produttiva alleanza ogni individuo imparerà a resistere a malattie e afflizioni. Questo si pensa nel cuore della Nigeria.

Conosci te stesso, si scriveva nell’Antica Grecia.

Paese che vai, usanza che trovi. Anche se cambiano l’aspetto e la forma, però, il nucleo e la sostanza si mantengono cristallizzati nella memoria del tempo ad ogni latitudine.

In un mondo globalizzato, dove la donna canguro maori spinge il carrello del superoccidentale mercato, la bertuccia mangia gelatine ed il panda beve bibite caramellate, si è perduta la dimensione umana. Un’artista francese negli anni settanta, prendendo alla lettera la recriminazione di un mondo non più a misura d’uomo si distese lungo gli Champs- Elysées per verificarne la lunghezza, utilizzando se stessa come unità di misura. Pour épater, ça va sans dire, per stupire, d’accordo. Tuttavia resta indispensabile elaborare un artificio per ritornare al “sistema umanico decimale”, altrimenti annegheremo nel paludoso delirio di onnipotenza e di aspirazioni frustrate, che ci renderà la vita, magari lunghissima, ma cronicamente infelice.

Cercando nel cuore delle culture lontane dal mondo occidentale, si può relativizzare la nostra angoscia; cambiando palcoscenico almeno per una volta l’homo globalizzatus deve tacere ed ascoltare. Sinchè ancora l’evoluzione gli conserverà l’organo dell’udito…

Nelle Comunità rurali dell’Africa la morte viene vissuta come evento di continuità per la vita del gruppo. E’ assunta come necessaria alla riproduzione della vita e dei ruoli, come occasione di incontro e scambio fra villaggi vicini. La morte, riconosciuta come limite ineluttabile, oggetto di una complessa strategia simbolica, viene sottratta alla violenza dell’assurdo individuale e restituita come evento sempre collettivo. La comunità raccoglie l’eredità dei suoi morti. Di qui l’importanza di una “buona morte, che se non rende meno pesante per i familiari la perdita del loro congiunto, riesce a farne un’occasione per rinforzare legami di amicizia e di vicinato. Per alcuni morire casa propria, con il permesso di realizzare i riti funerari previsti, piuttosto che morire al di fuori del villaggio o in terre che non gli appartengono, sarà una buona morte; per un guerriero il trapasso più glorioso sarà morire nel fiore degli anni in battaglia, per altri ancora sarà morire di vecchiaia o ancora avendo desiderato, previsto o chiesto la morte.

E’ auspicabile quindi che una buona morte si collochi all’interno delle aspettative e delle norme del gruppo, che da quella morte ricevono un’ulteriore conferma; la scomparsa di un membro agisce per il gruppo come un operatore simbolico che ne riafferma la coesione e la riproduzione delle sue regole.

Sicuramente la condivisione del lutto consente una rielaborazione della perdita, una gestione dei sentimenti ambivalenti nei confronti dell’oggetto d’amore perduto ed un supporto sociale all’individuo ferito nei suoi legami quale nessuna psicoterapia riuscirebbe a fare. A partire da questo lavoro simbolico diventa possibile muovere dal tempo della separazione e del dolore a quello della pace, delle attività che riprendono, della quotidianità ripristinata: “prendi la tua zappa, fratello mio, piove nella boscaglia, è giunto il momento della nuova semina” (proverbio dogon).

Pertanto i nostri polverosi comitati etici dovrebbero interrogarsi a fondo su questi temi: prima di stabilire il quando, accordiamoci sul come e sul dove morire. Tanto sul perché non troveremo mai una risposta.

Per approfondimenti:

Pubblicazioni di Roberto Beneduce, etnopsichiatra che ha svolto attività di ricerca in eritrea (UNICEF) e in Mali, a Torino si occupa dei problemi connessi alla migrazione, e di René Collignon, psicologo clinico presso l’Università di Lovanio in Belgio e ricercatore al CNRS di Parigi laboratorio di etnologia e di sociologia comparativa).

di 28 febbraio 2009