“Memento”… ricordate questo titolo!

Febbraio 12, 2001 in Cinema da Redazione

“MEMENTO” (Usa, 2000) di Christopher Nolan, con Guy Pearce, Carrie Anne Moss, Joe Pantoliano.

“…è ingenuo, supponente, a tratti noioso, ma bene interpretato e finalmente diverso dai film americani correnti.” Con queste parole una “solona” della critica cinematografica ha sintetizzato “Memento”, apprezzabile film appena uscito nelle sale italiane. Chi scrive concorda con la seconda parte di questo schizofrenico giudizio (come può una pellicola del 2000, con cent’anni di tradizione cinematografica alle spalle, essere ingenua e dire qualcosa di nuovo?). Il film è veramente qualcosa di diverso, ma non è ingenuo, tutt’altro.

Nolan lancia una sfida alla scomposizione strutturale attuata da Tarantino in “Pulp Fiction” con lo sfasamento cronologico dell’intreccio, lancia una sfida al thriller tradizionalmente inteso. Invece di sbrogliare la matassa, la s’imbroglia.

Il film parte dalla fine, e fin qui non ci sarebbe nulla di nuovo.

Il film è costruito dalla fine, ed anche qui non c’è nulla di nuovo. Lo sono tutti i gialli degni di questo nome.

Il film procede a ritroso, e la novità sta in questo.

“Memento” si apre con la scena conclusiva. Un uomo che uccide un altro uomo. Ora, per il patto cinematografico stipulato dalla tradizione fra spettatore e regista, in un caso del genere, dovrebbe esserci un lungo flash back in grado di spiegare come si è arrivati a questo punto. Nolan infrange questo patto e non è difficile presumere che qualcuno molto presto lo seguirà a ruota.

La scena successiva si conclude nel punto in cui era iniziata quella precedente e così per quindici, venti volte, fino a quando scopriamo da dove è partito il protagonista. Per dirla con termini geometrico-strutturalisti, la pellicola è divisa in segmenti. Se la cronologia degli eventi parte con AB, BC, CD, l’intreccio sviluppato sullo schermo segue il seguente percorso a ritroso: VZ, UV, TU, per finire con AB.

Lo spettatore è costretto ad un sforzo mnemonico che fa il paio con quello del protagonista, il quale a causa di uno shock emotivo ha perso la memoria breve ed è costretto a prendere appunti su tutto ciò che gli accade, fotografando le persone con le quali agisce e tatuandosi sulla pelle gli appunti prioritari, gli imperativi categorici della sua esistenza.

E qui sta il secondo grande motivo di originalità della pellicola. Mai prima d’ora si era vista sullo schermo un’indagine condotta da un personaggio privo di memoria. Guy Pearce (già visto in L.A. Confidential) ricostruisce il puzzle della propria indagine, con una mappa fatta di polaroid e appunti, una mappa nella quale le zone d’ombra vengono colmate dall’istinto. E l’istinto si sa, non è il miglior compagno di chi deve investigare…

Buona la prova degli attori, ma il vero protagonista è il ricordo (memento in latino), l’esercizio di memoria del protagonista e dello spettatore. Consigliato ad un pubblico attento.

di Davide Mazzocco