L’esatta sequenza dei gesti

Febbraio 17, 2009 in Libri da Stefano Mola

Titolo: L’esatta sequenza dei gesti
Autore: Fabio Geda
Casa editrice: Instar Libri
Prezzo: € 13,50
Pagine: 237

LC’è una madre che ogni tanto cade all’improvviso, dal di fuori. Dentro è già crollata tutta, da tempo, e riempire quella voragine di alcool non aiuta. C’è un marito che la tradisce. Ci sono quattro figli, tra cui Marta, la maggiore, che svolge il ruolo di facente funzione, che ama la natura, gli alberi le piante e i cerchi di semi.

C’è un’altra madre che sta in carcere, e che forse a breve ne uscirà. C’è suo figlio che si chiama Corrado e che vive in una comunità alloggio, insieme a Marianna, ad Ahmed, a Rezijia. Corrado vorrebbe essere un duro, ma come fare con quegli occhi da lemure che ogni tanto gli vengono, che alla fine tutto gli sembra come un gesto scomposto? E come fare senza un soldo per organizzare questa festa di bentornata per la madre?

C’è questa comunità alloggio, e ci sono gli educatori. Ascanio, per esempio, col suo rito del caffé e il suo amore per Elisa che non sa bene se e come dire. C’è l’assistente sociale Lea e la nuova vita che le sta sorgendo in grembo.

Insomma, ci sono tantissime cose in questo romanzo di Fabio Geda. Soprattutto, molte sono difficili da maneggiare. Prenderle in mano significa entrare nel pieno in molte delle sofferenze del presente, confrontarsi con un problema sempre più pesante, quello della relazione educativa. Che cosa riescono ancora davvero a trasmettere gli adulti agli adolescenti? Davvero le loro parole non fanno altro che scivolare come acqua su un vetro perfettamente verticale e perfettamente levigato, tanto che non c’è nemmeno un centimetro dove se ne fermi una?

O forse il problema è che di adulti veri non ce ne sono più? L’unico che in tutto il libro riuscirà davvero a costruire un ponte, una comunicazione, è l’uomo montagna. L’uomo che ha scelto di andare a vivere in Valle d’Aosta per lavorare il legno. Forse perché è l’unico ad essere davvero e pienamente centrato su sé stesso: non dà messaggi o lezioni, semplicemente è.

La difficoltà di maneggiare questa materia viva sta nelle slavine incombenti di giustificazionismo, di buoni sentimenti, di dolciastro, di happy end possibili, di sbrigative analisi sociologiche. Tra i meriti più grandi del libro c’è proprio la capacità di tenersene alla larga. Non ci sono bianchi o neri, solo sfumature di grigio, gradazioni diverse di imperfezione.

Quello che c’è è una lingua per lo più asciutta, che non indulge alla metafora né ricerca l’immagine ad effetto, molto visivamente concreta; e anche la capacità di tenere saldamente in mano la trama, intrecciando le esistenze in brevi capitoli, ma niente affatto rarefatti.

di Stefano Mola