Interno coreano con sequestro

Gennaio 25, 2004 in Libri da Stefano Mola

Yi Ch’ongjun “Interno coreano con sequestro”, o barra o, pp.176, Euro 12,40

Interno coreano con sequestroPer cercare di rendere l’idea che sta alla base di questo romanzo del coreano Yi Ch’ongjun, proviamo ad entrarci subito dentro, leggiamone alcune frasi: E’ pressappoco così che sono iniziati il mio rapimento, il mio sequestro, così terribili, così improvvisi. Ma poiché mi trovavo rinchiusa nel mio appartamento, parole come rapimento o sequestro forse non sono del tutto appropriate. Eppure il mio appartamento aveva cambiato proprietario e io vi ero prigioniera, privata dal nuovo proprietario di ogni libertà come in un nascondiglio clandestino. Poi, fin da quella notte, è iniziata la distruzione impietosa e sistematica della mia vita e di me, vittima innocente.

Chi parla è una cantante pop molto famosa, capace di commuovere con le sue canzoni l’intero paese. Tuttavia, nonostante questa notorietà, preferisce condurre una vita ritirata. Le è difficile per esempio anche partecipare a trasmissioni televisive in cui debba parlare, spiegare la sua arte. L’unico modo che le sembra appropriato per comunicare con la gente è attraverso le sue canzoni. Una sera torna al suo appartamento e ci trova uno sconosciuto. L’uomo impone alla cantante di vivere reclusa ed estranea nella sua stessa casa. Inizia così un rapporto psicologicamente molto violento, che evolve verso sfumature da sindrome di Stoccolma. All’inizio l’esercizio di potere dell’uomo si basa sull’imposizione di una comunicazione minimale. Non vengono fornite spiegazioni.

La narrazione però rivela fin da subito altri livelli. È infatti condotta in flash-back. Sappiamo fin da subito che l’uomo alla fine è morto, ma non è chiaro se si tratti veramente di suicidio. La cantante è quindi costretta a rivivere progressivamente e continuamente la sua vicenda sotto le pressanti richieste della polizia, che vuole scoprire le vere ragioni della morte dell’uomo. La cantante è costretta a rivivere continuamente la scena finale (dal punto di vista della sequenza temporale dei fatti, non della sequenza narrativa) e progressivamente tutto il resto della vicenda si arricchisce di particolari.

È come se il ricordo fosse difficile da partorire, perché questo rapporto ha mutato profondamente la cantante rivelandole aspetti nascosti della propria personalità. Non è qui il caso di rivelare la storia dell’uomo e la motivazione del suo gesto, per non togliere troppo alle potenziali curiosità del lettore. Però c’è un chiaro intreccio tra il significato di simbolica coesione che una canzone può rappresentare per un popolo, da un parte; e dall’altra, la costante necessità di figure guida e le potenziali delusioni che queste inevitabilmente possono generare quando un popolo stesso delega il proprio significato e le proprie responsabilità a una figura carismatica.

Yi Ch’ongjun, laureato in letteratura tedesca con studi su Thomas Mann, Hermann Hesse e Kafka, in questa vicenda incubo ricorda soprattutto l’ultimo dei tre, adattandolo a una realtà e a una sensibilità non occidentali (si veda ad esempio l’insistita e mai del tutto sciolto dubbio su quale sia il tempo verbale migliore in cui la cantante riesca finalmente a raccontare bene la sua storia).

di Stefano Mola