Il Ballet Flamenco Jerez de la Frontiera per Traspi.net

Febbraio 10, 2008 in Spettacoli da Marcella Trapani

Ballet Flamenco Jerez de la Frontera

  • L’intervista con il gruppo di flamenco di Maria Sereno Lozano, il Ballet Flamenco Jerez de la Frontera, che dal 7 al 10 febbraio si è esibito al Teatro Nuovo a Torino, non è andata esattamente come prevedevo.

    Avrei dovuto intervistare il primo ballerino e coreografo Carlos Carbonell, che ha partecipato ai più importanti Festival di Barcellona e Jerez de la Frontiera ed ha ballato con i migliori tablaos della penisola iberica, e la prima ballerina Maria del Rocio Romero Delgado. Invece Maria del Rocio era infortunata, tanto è vero che il ruolo della protagonista, Carmen, è stato interpretato da un’altra ballerina, mentre non ho potuto parlare con Carlos per problemi di tempistiche.

    Ma si sa, il mondo del teatro è fatto anche di imprevisti che spesso offrono occasioni impensate ed inusuali, come quella che mi è capitata di parlare con tre giovani bailaores Aroa Barea Hombrado, Tatiana Ruiz Sereno Lozano (figlia di Maria, la direttrice della compagnia) e Juan Andrès Maria Aguirre. Ho scoperto una grande dedizione e un entusiasmo contagioso, oltre a una serie di informazioni sul mondo del flamenco che ora andrò a condividere con i miei lettori.

    – Come e quando si è formato il vostro gruppo?

    Tatiana: La compagnia non è stabile, si forma in funzione di un progetto. Questa compagnia è nuova, anche se ognuno di noi ha avuto altre esperienze altrove.

    – Di quanti bailaores (ballerini) è composto? Di quanti cantaores (cantanti) e tocaores (chitarristi)?

    Tatiana: 20 con la direttrice: 15 ballerini, 1 chitarrista, 1 percussionista e 2 cantanti.

    – Che formazione avete come danzatori?

    Aroa: Ho iniziato a 6 anni in un’accademia e l’anno scorso ho terminato al conservatorio di Siviglia. Ho studiato anche danza spagnola che non è solo flamenco: si studia folklore, interpretazione, danza boleira, contemporanea e classica. Finora ho studiato 14 anni.

    Juan Andrès: Io ho studiato solo flamenco. Non ho formazione di altra danza. Alcuni di noi hanno studiato anche altri tipi di danza, come lei.

    Tatiana: Sono nata nel flamenco perché mia madre è la direttrice e ha un’accademia di flamenco.

    – Che differenze ci sono tra il flamenco di Jerez, quello di Cadice e quello di Siviglia?

    T.: Ogni città ha il suo stile che cambia a seconda della cultura del luogo.

    A.: Ognuno ha un’opinione, uno stile, quelli di Jerez sono la bulerìa e la siguriya; lo stile di Vuelva è il fandango; l’alegrìa è di Cadice, ecc.

    J.: Ci sono tantissimi generi del flamenco che vengono eseguiti ovunque ma le origini e le radici culturali sono diverse.

    – Ma i diversi stili sono legati ai diversi tipi di canto?

    A.: Sì, infatti la prima forma è il canto, da cui è derivata la danza.

    T.: La patria del flamenco è l’Andalusia ma poi nelle varie città si sono distinte diverse forme di canto che sono più popolari in un luogo anziché in un altro. La culla del canto è Jerez, quella della danza Siviglia.

    – Siete molto giovani: quanti anni bisogna studiare il flamenco per raggiungere un livello da professionisti?

    J.: Richiede molto lavoro, molto studio, molto metodo. Non si finisce mai.

    T.: E’ soggettivo. Io ho iniziato molto presto, finora ho studiato 15 anni. Alcune persone imparano subito, altre ci mettono anni. Dipende anche dal contesto in cui nasci. C’è chi va a studiare in conservatorio e in accademia; i gitani non frequentano l’accademia ma hanno il flamenco nel sangue e non hanno bisogno di studiare tanto.

    J.: Io ho iniziato a 6 anni.

    – Quali sono gli elementi più innovativi nel vostro spettacolo e quali quelli più tradizionali?

    T.: Il contemporaneo, il classico come fusione di elementi diversi sia di musica che di coreografia per dare un’impronta nuova nello spettacolo Pasiòn Andalucìa insieme al principio della soleà (N.d.A. tipo di canto originario di Siviglia). Invece la Carmen è uno spettacolo totalmente tradizionale, anche perché costruita sul canovaccio delle musiche di George Bizet.

    – In che cosa sta cambiando oggi il flamenco?

    J.: Tutto, si sta rivoluzionando anche se non si devono dimenticare le radici. Sta subendo un processo di metamorfosi nella forma espressiva. Sta cambiando più nella danza. C’è molta più tecnica oggi ma molte più possibilità anche nel canto e nella musica.

    T.: Sta cambiando anche il canto nella melodia e pure il modo di usare la chitarra e le mani.

    – In questo ballo è più importante il sentimento o la tecnica?

    J.: Sono una il complemento dell’altro. Se non hai gli strumenti per esprimere il tuo sentimento, per quanto profondo e meraviglioso, non puoi tirarlo fuori.

    T.: Secondo me, il sentimento. La tecnica puoi acquisirla o meno, ma senza sentimento non puoi ballare.

    A.: Entrambe. Ma è più facile imparare la tecnica perché il sentimento non lo puoi imparare.

    – Quando avete debuttato in Italia? Come vi è parso il pubblico rispetto ad altri paesi europei?

    A.: Quest’anno. Il pubblico italiano risponde molto bene.

    J.: E’ molto caloroso ed espressivo, tutti ci hanno accolto con entusiasmo.

    T.: Ogni paese europeo ha il suo modo di apprezzare il flamenco. Ci sono pubblici che amano questo genere di arte ma non lo capiscono, applaudono ma non ne percepiscono lo spirito.

    J.: E’ vero. E’ come per chi balla usando solo la tecnica, anche se perfetta, ma senza esprimere il sentimento.

    A.: L’Italia capisce. Nella maggior parte della tournée il pubblico ha risposto molto bene.

    J.: Sì, soprattutto a Firenze, a Genova, anche qui a Torino…

    Qui l’intervista si chiude con l’intervento della coreografa, Maria Sereno, che viene a richiamare i suoi “ragazzi” per continuare le prove per lo spettacolo di stasera…

    di Marcella Trapani