I predatori del libro perduto – II

Dicembre 12, 2007 in Cinema da Redazione

[la difficile arte di trasportare un’opera letteraria nel mondo cinematografico. Kubrik e pochi altri registi vi sono riusciti in pieno – segue]

Viene da chiedersi: cosa non funziona? Passi quando si tratta di romanzi con una certa qualità stilistica (“The Hours”, per tornare agli esempi sopraccitati, è un romanzo con molta introspezione, difficile da riportare sullo schermo. Come trasmettere la gioia o la morte, se non con delle musiche che, spesso, ci lasciano solo intravedere la superficialità della profondità dell’uomo?), ma quando si tratta di fantasy, romanzi d’avventura o piccole commedie agro-dolci? Dove si trova la difficoltà, per lo sceneggiatore e per il regista?

E’ da non credersi: “It” è tutto lì. Ogni dettaglio viene minuziosamente raccontato,ogni luogo descritto senza tralasciare angolo buio. Gli odori fuoriescono dalle righe, senza che possiamo astenerci dal sentirli. Una volta, e sembra incredibile, leggendo un racconto di King (“I langolieri”, contenuto ne “Quattro dopo mezzanotte) ho addirittura sentito, con le mie orecchie, il rumore assordante dei mostri che si avvicinavano.

Non ho dormito, per certi libri. Ed ho pianto tanto, per altri.

Difficile che un film possa coinvolgere così. Innanzitutto per il livello intimistico del romanzo.

Se, infatti, un’opera di scrittura è qualcosa di oltremodo personale, l’operazione di lettura supera il lavoro dello scrittore.

Lo scrittore, in fondo, si limita a mettere per iscritto il proprio intimo. Il lettore, invece, carica di significato ogni parola, ogni frase, mescolando il proprio con il mondo, con lo scrittore, con le sue passioni. Ogni uomo, affrontando un libro, troverà diverse sfaccettature. Difficile parlare di un libro che si è amato molto: ci si limita a sorridere, sentendo un titolo a noi caro. Cosa poter dire senza svuotare il nostro Io?

Il film, invece, è rivolto al grande pubblico. Proprio per questo si ritrova a dover sottostare a certe “leggi di mercato”. Soprattutto con l’avvento di nuovi standard modaioli e visivi.

Detta brutalmente, un film non “tira” senza la donna avvenente e scosciata, senza la storia d’amore, senza il figo di turno. E, soprattutto, senza i ritmi sfrenati da videogiochi.

Oggi mai si potrebbe pensare ad un film dell’orrore senza corse ed urla. La salita delle scale di Jack Torrance, fatta da Kubrick, per togliere la mazza alla moglie, oggi sarebbe impensabile.

Shining diventerebbe un’accozzaglia di sangue, di scene splatter, di musica brusca che non lascia intendere nulla. Non c’è spazio, insomma, per il terrore profondo, quello che cresce a dismisura, però parola dopo parola, lentamente. I tempi sono diversi.

Per il libro, sono guai.

Prendiamo “La macchina del Tempo” di Wells. Ottimo romanzo, visionario come non mai. Il cinema avrebbe potuto creare un vero capolavoro. Invece, ecco la donnicciola, le situazioni bizzarre, la mancanza di profondità e l’annullamento della denuncia sociale.

Divertimento, non riflessione.

Ci sono anche problemi logistici. La durata, per esempio. Persino Jackson, che a mio parere ha fatto un ottimo lavoro con “Il signore degli Anelli”, ha dovuto uccidere moltissime parti del romanzo. D’altra parte, ricordo, a pagina cento gli Hobbit sono ancora nella Contea. Avrebbe dovuto compiere un lavoro disumano, per girare proprio tutto.

E poi ci sono scelte incomprensibili. Perché “la storia infinita”, che è riuscita a ricreare i personaggi quasi come me li sono immaginati, ha tagliato miseramente delle parti importantissime del libro? Perché l’incontro con l’Oracolo è così frettoloso, mancando così il primo vero faccia a faccia tra Bastian e il Regno di Fantasia? Perché Gmork viene mostrato come un lupo mannaro cattivo e niente di più? E dove è finito il dialogo che rivela il perché del Nulla, il perché del figlio dell’uomo, insomma, il perché della distruzione?

Chi di voi è a conoscenza del perché il film si chiami proprio “la storia infinita”? Nessuno.

Per ovvie ragioni: il motivo, importantissimo e trainante, è stato eliminato. Senza apparente logica, a mio parere.

Insomma, cari mangiatori di cinema (tutti, anche quelli con maggiore gusto e obiettività critica, nessuno si può salvare), sappiate che state assistendo ad un surrogato di fantasia.

Sappiate che la vera avventura si nasconde dentro ad un volume impolverato. Magari di quelli senza nemmeno la copertina. Quelli con l’odore di vecchio.

Sappiate che, quando vedete qualcuno annusare quelle pagine, non è un pazzo. Anzi, a ben vedere si tratta di un saggio!

I piccoli Hobbit, l’infermiera che non vuole vedere Misery morta, Harry Potter (che vi piace tanto) altro non sono che dei personaggi creati da qualcosa che oggi definireste “fuori tendenza”: uno scrittore.

Forse, chissà, basterebbe rendere nota questa oscena ovvietà per riportare il libro al suo posto: da semplice sostituto della gamba del tavolino dove troneggia il televisore, a ultimo amico ascoltato la sera, prima di addormentarsi.

di Alice Suella