Gli Oscar del Traspi
Marzo 21, 2002 in Cinema da Redazione
Vincerà Russell Crowe con Ron Howard ed il suo “A Beautiful Mind”, Hollywood non è certo terra di sorprese, specie nella serata degli Oscar, la farsa più prevedibile dell’intera stagione cinematografica. Perché Hollywood è come Sanremo, gli Oscar sono come il Festival, fedeli ad una tradizione immutata da anni che premia la tradizione e trascura, anzi punisce, l’innovazione, il genio, la diversità.
Il premio per il miglior film – che il 90% delle volte va a braccetto con la regia – va al film che meglio rappresenta lo sventolio dei valori a stelle e strisce o, comunque, quello che ricorda più da vicino il cinema di Gary Cooper e James Stewart, di John Ford e Joseph L. Mankiewicz piuttosto di quello di Joseph Cotten ed Orson Welles. Agli Oscar viene premiata la visione contenuta ed accademica del cinema, non quella che fa del vigore espressivo e dell’avanguardia la propria matrice. Non è un caso che autori come Orson Welles, Stanley Kubrick e, più recentemente, Martin Scorsese siano stati trascurati dai premi della Academy. Le vere sedi nelle quali viene riconosciuto il cinema autoriale sono Cannes e Venezia, forse il Sundance, più raramente Berlino divenuta di anno in anno sempre più filoamericana.
Nel sentire comune si pensa agli Oscar come ai riconoscimenti della stagione cinematografica nella sua interezza. Non è così. A venire premiati sono solamente i film girati in lingua inglese. Vale a dire i film statunitensi, inglesi ed australiani. Tutto il resto (India, Giappone, Italia, Cina, Francia, Germania, Spagna, Svezia, Belgio, paesi dell’est, ecc…) sono relegati alla categoria “miglior film straniero”. Spesso, però, in questa categoria si tende a premiare i film più aderenti al palato americano. Si vedano per esempio gli ultimi Oscar italiani: “Mediterraneo” di Salvatores, “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore e “La vita è bella” sono prodotti pregevolissimi, ma che consegnano agli spettatori d’Oltreoceano un’Italia da cartolina, un’Italia datata (sono tutti film del passato), un’Italia solare, felice, mediterranea, tutta “pizza, spaghetti e mandolino”. L’Italia vera, quella di Amelio (“Il Ladro di bambini” e “Così ridevano”) o Piccioni (“Fuori dal mondo”), quella di Moretti (“Aprile”) o di Virzì (“Ferie d’agosto” e “Ovosodo”), è troppo reale, troppo lontana, talvolta, troppo “settentrionale” per far breccia nell’idea che lo spettatore si è fatto del nostro paese. Lo stesso si può dire per la Francia: il bellissimo “Amélie” altro non è – nonostante il sostrato grottesco – la “douce France” che occupa l’immaginario collettivo della nostra epoca (fisarmoniche, pavé, caffè, ecc…).
Per quanto riguarda invece i premi al miglior attore viene di solito premiato più il personaggio che l’interprete. Quasi sempre lo zio Oscar finisce fra le mani di un attore che si è calato nei panni di un individuo sopra le righe (un serial killer o un superuomo) o che ha interpretato un diverso (l’handicap è un forte richiamo per i giurati dell’Academy). Niente di più sbagliato. I grandi attori danno il loro meglio proprio nei toni sommessi, nell’implicito e nei gesti quotidiani. Un giorno Monicelli parlando di Nanni Moretti attore disse una cosa che non si può che avallare: “Il grande attore lo vedi quando afferra un oggetto, quando cammina”.
Tirando le somme, i premi con più credibilità sono quelli tecnici, quei riconoscimenti che premiano il lavoro oscuro di coloro che rendono possibile la riuscita di un film tanto quanto gli attori. Fotografi, costumisti, scenografi, musicisti, tecnici del suono, i loro sono Oscar al 100%.
Gli Oscar del Traspi
“L’uomo che non c’era” di Joel Coen
Joel Coen per “L’uomo che non c’era”
Billy Bob Thorthon per “L’uomo che non c’era”
Maribel Verdu per “Y tu mama tambien”
Donald Sutherland per “Panic”
Tracey Ullman per “Panic”
“27 baci rubati” (Georgia) di Nana Djordjadze
“Shrek”
“Memento” ex aequo con “Il favoloso mondo di Amélie”
Roger Deakins per “L’uomo che non c’era”
Dody Dorn per “Memento”
Ngila Dickson e Richard Taylor per “Il signore degli anelli”
Peter Owen e Richard Taylor per “Il signore degli anelli”
“Il signore degli anelli”
“Il signore degli anelli”
“Il favoloso mondo di Amèlie”
di Davide Mazzocco