Gli artisiti del faraone

Febbraio 24, 2003 in Arte da Redazione

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Allestita a Palazzo Bricherasio a Torino, la mostra è articolata su due piani e si prefigge il compito di descrivere, attraverso i reperti trovati durante gli scavi archeologici di Deir-el-Medina, la vita quotidiana, il lavoro, le credenze religiose e i riti funerari.

La premessa è che, purtroppo, ancora si sa poco sia di quanto si vuol parlare in questa esposizione, sia dell’antico Egitto in generale. Le informazioni, infatti, sono ricavate per deduzione.

L’introduzione è affidata a un breve video che colloca la mostra nel tempo e nei luoghi cui fa riferimento. Il video è proiettato su 12 piccoli schermi e attraverso un gioco di specchi si espande creando l’illusione di una sfera gigante costituita da centinaia di televisori, idea questa che batte molte avanguardie visibili nei musei Finlandesi.

Nella prima sezione sulla vita quotidiana, i reperti mostrano oggetti d’uso comune. Ciotole, sgabelli, sandali infradito, forme di pane, piante delle abitazioni. Tutto era minimalista e il letto era chiuso come quelli usati nel nord Europa ai tempi di Rembrandt.

33808(1)Nella seconda sezione dedicata al lavoro il discorso diventa più articolato. Innanzitutto ciò che colpisce è che lavorassero 12 ore al giorno, cosa facilmente immaginabile, se non fosse che l’orario di lavoro andava dalle 4 del mattino alle 4 del pomeriggio. Non mi è chiaro il motivo di questa scelta. Di certo il mattino è più fresco, ma se il motivo fosse stato la temperatura, perché non si fermavano durante le ore più calde per riprendere verso sera? Forse il lavoro era organizzato in modo da passare le ore più calde a fare il minatore all’interno (decisamente più fresco) del monumento funebre. Non lo so.

Le assenze dal lavoro erano consentite in caso di festa religiosa, di parto della moglie, di malattia e di lite con la consorte. Quest’ultima motivazione ci porta a fare diverse riflessioni sulla concezione della famiglia, del lavoro e delle priorità, ad ognuno lascio le sue.

Da registrare anche il primo sciopero, non della storia, ma di cui si abbia notizia. Le maestranze, che non venivano pagate da 18 giorni, incrociarono le braccia. Non era tanto una questione di soldi, ma di pane e beveraggio, perché il loro stipendio era costituito anche dal pagamento in natura. Un po’come se oggi ci togliessero i ticket restaurant (buoni pasto) costringendoci a saltare il pranzo, con l’unica differenza che noi non resisteremmo fino al 18° giorno.

Interessante poi un altro confronto coi nostri tempi: come oggi se un lavoro è ancora in progress quando ormai si è vicini alla consegna, così allora la morte inaspettata del faraone, costrinse gli artisti a sbrigarsi. Le stanze divennero più piccole, i disegni alle pareti non vennero più incisi e poi dipinti… E secondo me ne risentì non solo l’estetica e la possibilità di arrivare fino ai giorni nostri, ma anche tutto lo studio astronomico per collocare le stanze nel modo corretto.

33809Le credenze religiose, terza sezione. Non c’è che dire erano proprio superstiziosi. Si facevano confezionare amuleti formati da un papiro su cui veniva scritta una formula magica, che poi veniva ripiegato fino a diventare un rettangolino e legato al collo con una cordicella annodata 7 volte. Il metodo di confezionamento era segreto e misterioso e ancora sconosciuto, lo scopo reale meno: il guadagno.

Cosa che proprio non immaginavo è che usassero interpretare i sogni e attribuire ai vari elementi dei significati, come hanno fatto di recente Freud e Jung. Certo d’interpretazione dei sogni se ne parla anche nella Bibbia. Se non erro lo stesso Giuseppe faceva l’interpretatore di sogni come secondo lavoro. Durante la permanenza in Egitto interpretò il sogno del faraone sulle 7 vacche grasse e le 7 vacche magre, ma forse ho appena scritto una grandissima stupidaggine.

Sarebbe molto interessante studiare l’evoluzione dell’interpretazione dei sogni e dei vari simboli, senza trascurare il fatto che alcuni non sono mai cambiati e sono quelli che Jung chiama archetipi.

L’al di là era come l’al di qua. Gli antichi egizi pensavano che avrebbero fatto ciò che facevano prima. Prima di accedere all’al di là veniva pesato il cuore del defunto. Se era più leggero di una piuma si era promossi e si passava, se no si era respinti. Ma respinti dove? Non lo so.

La sezione sui riti funerari è appena accennata, forse perché è molto difficile sintetizzarli.

Grande spazio viene dedicato invece al tempo libero. Oltre a partecipare alla vita familiare e religiosa, gli artisti impiegavano il loro tempo a fare ostraca. Gli ostraca sono dei frammenti di pietra, ciottoli, ecc. su cui si facevano bozzetti o si dipingevano scenette umoristiche, che poi finivano come tutti i pezzi di carta volanti, nel cestino. Uno molto bello ritrae una giovane acrobata impegnata nel fare quello che nella ginnastica artistica si chiama ponte. Per essere uno schizzo è molto curato nei particolari e nella colorazione, tranne per il fatto che il suo orecchino non rispetta le leggi di gravità. Come interpretare ciò: scelta, ignoranza riguardo alla forza di gravità o, forse l’artista non ci aveva pensato, quindi, errore?

Ma se il lavoro, le credenze, la morte, il tempo libero sono tutti elementi della vita quotidiana, allora la mostra è solo sulla vita quotidiana degli artisti del faraone. Artista, fermiamoci un attimo a pensare a questa parola. All’epoca del faraone non esisteva, veniva chiamato artigiano o maestanza. Ma se la parola artista è strettamente legata alla parola arte, allora quella che facevano non era considerata arte? Oppure mi sfugge qualcosa?

Se, quando qualcosa non ci è chiaro, ce ne interessiamo proprio perché questo “non chiaro” ci attrae, allora questa mostra è interessante.

Gli artisti del faraone

Periodo: dal 14/02 al 18/05/’03

Orario: lunedì 14.00 – 20.00; martedì e mercoledì 9.00 – 20.00; da giovedì a domenica 9.00 – 23.00

Luogo: Palazzo Bricherasio – via Lagrange, 20 – Torino

Ingresso: 6,50 €; ridotto serale (dalle 20 alle 23) € 5,50

Informazioni: tel. 011.5711.811

Catalogo: Electa

di Luigina Pugno