Femme fatale

Novembre 12, 2002 in Spettacoli da Redazione

32344(2)Sabato 9 novembre si è tenuta nella sala 6 del Pathé una lezione di cinema, anzi di semiotica. Il docente? Brian De Palma da Newark. Una premessa: “Femme fatale” pur non essendo ai livelli di “Carlito’s way” o de “Gli intoccabili” si colloca al di sopra delle ultime produzioni, “Omicidio in diretta” o “Mission Impossible”, ad esempio.

Da virtuoso qual è, De Palma torna a divertirsi e a divertirci con la macchina da presa, con l’uso disinvolto dei grandangoli, con il gusto per l’autocitazione (la scena iniziale al Festival di Cannes ricorda da vicino la scena centrale di Mission Impossible). C’è una cura certosina dei particolari. Si pensi al momento in cui Black Tie e Racine, i suoi complici nel colpo di Cannes, tornano sulle sue tracce a Belleville. Alcuni operai stanno sostituendo un poster pubblicitario con un’altra affissione. Sulla prima affissione – un quadro con una ragazza bionda che ricorda la protagonista – c’è scritto Dèja Vue. La ripresa è una soggettiva di Nicolas Bardo (Antonio Banderas) che sette anni prima aveva fotografato Laure Ash (Rebecca Romijn Stamos) dallo stesso balcone dal quale sta ora guardando. Quale affissione va a sostituire la precedente? Quella con la foto scattata alla “già vista” Laure dallo stesso Nicolas e che permette ai complici di venire a conoscenza dell’arrivo della ragazza a Parigi al seguito del marito, da poco ambasciatore degli Stati Uniti in Francia. La concentrazione di queste coincidenze ha un notevole impatto spettacolare ed allo stesso tempo, ad un altro livello di lettura, ha il compito di svegliarci dal “sogno” di normali spettatori. “Guardate che tutto questo è cinema” ci vuol dire il regista.

De Palma possiede il bagaglio tecnico necessario a farsi beffe dello spettatore, ma rimane credibile e coerente con la sua poetica: la forma conta più del contenuto. O, meglio ancora, la forma è il contenuto.

Che tutto ciò che stiamo per vedere sia solo cinema De Palma ce lo chiarisce nei primi dieci minuti. Durante i titoli di testa la protagonista sta guardando alla televisione un vecchio film con Barbara Stanwyck, la dark lady per eccellenza dei film noir degli anni ‘30-’40, una femme fatale in piena regola. Poco dopo la protagonista è al Festival di Cannes dove Sandrine Bonnaire interpreta Sandrine Bonnaire e Alain Delon è Alain Delon. Guarda caso la prima del film di De Palma è avvenuta proprio sulla Croisette. Il campione della mise en abîme non si smentisce. Il complesso gioco a scatole cinesi si manifesta sia a livello di contenuto che a livello di forma (ad esempio nel modo in cui De Palma usa le foto scattate da Banderas o il puzzle montato con le stesse). “Femme fatale” è un enorme giocattolo e, per nostra fortuna, non si rompe mai.

di Davide Mazzocco